Franz Reichelt e il sogno di volare
Correva l’anno 1912 quando, in Europa, invenzioni e migliorie spopolavano.
Tra la moltitudine di individui che si cimentavano a creare qualcosa per i posteri, troviamo Franz Reichelt che, però, non ebbe molta fortuna in veste d’inventore.
Franz Reichelt era un sarto viennese che, nel 1898 si trasferì a Parigi aprendo una propria attività sartoriale riscontrando anche un grosso successo, soprattutto tra gli austriaci.
Il nostro inventore, oltre cucire abiti per qualche reggente della nobiltà austriaca, aveva un’altra passione: la neonata aviazione.
Aveva sviluppato una tuta che avrebbe dovuto aprirsi durante una caduta da basse altezze salvando la vita e limitando i danni del malcapitato di turno.
Cominciò a creare questo nuovo dispositivo ma, ovviamente, dovette testarlo provandolo su dei manichini che lanciò dall’ultimo piano del suo palazzo.
Tutti gli esiti furono positivi e quindi cercò di adattare la sua invenzione per gli esseri umani ma, molti esperti del settore si opposero, soprattutto l’Aèro-club de France.
Modificò la tuta, la rappezzò in ogni modo, però tutti i manichini su cui sperimentava ogni modello sbattevano senza pietà al suolo e, addirittura, provò personalmente la tuta lanciandosi da un’altezza di 10 metri salvandosi miracolosamente per la presenza di balle di fieno sul terreno.
Era la sua idea, non poteva farne a meno, doveva portarla avanti, non poteva riuscirci e poi fallire, doveva lasciare il segno, in un modo o nell’altro.
Forse avrebbe dovuto lasciare perdere e tornare nella sua bottega, facendo rimanere l’aviazione solo un sogno ancora, ma essendo una testa dura, non andò esattamente così.
L‘Aèro-club de France bandì un concorso e, giustamente, Franz non ci pensò due volte e, ancora una volta, si mise all’opera modificando gli assetti e pesi della tuta.
Inizialmente, la prima versione pesava ben 70 kg, la ridusse a 25kg, per poi arrivare alla bellezza di 9kg con un’apertura alare di 30 metri quadrati.
Il punto di lancio fu il primo piano della Torre Eiffel, data la sua giusta altezza per un esperimento del genere.
Tutto fu preparato per il 4 febbraio 1912: il giorno della verità.
Mentre si dirigeva con alcuni amici in auto presso campo di Marte – sede del monumento parigino – ammise di aver cambiato idea e di voler essere lui stesso il tester del suo progetto.
Ovviamente tutti cercarono di fargli cambiare idea, ma lui niente: il frutto del suo lavoro doveva testarlo personalmente su di lui, forse anche per dimostrare la sicurezza della sua tuta.
Esperti e giornalisti cercarono, oltre agli amici, di farlo desistere da questa follia ma lui, sicuro di sé: “vi farò vedere come i miei 62 kg ed il mio paracadute smentiranno le vostre critiche”.
Alle 8:00 del mattino del 4 febbraio 1912, il sarto salì al primo piano della terra, controllò il vento, restò fermo sulla ringhiera per una quarantina di secondi e poi, con la sicurezza di chi sa che con le proprie mani non ha mai fallito una commissione, urlò “À bientôt!” verso lo scarno pubblico e si lanciò verso il suolo.
Morirà sul colpo dopo una caduta di 57 metri. L’autopsia accerterà che la morte non fu causata dalla caduta, ma da un infarto avuto poco prima di toccare il suolo, quindi con l’eterno dubbio che, alla fine, non si sia accorto di nulla.
Ci sono due punti che mi hanno particolarmente toccato in questa storia: Il primo punto è il coraggio di mettere le proprie idee ed ambizioni davanti ogni cosa, persino davanti la propria vita. Quando la ragione sensibile prende il sopravvento su tutto senza riuscire a tornare in una situazione di ordine e razionalità mentale.
Il secondo punto è l’uso della cinepresa, utilizzata per la prima volta per documentare un evento del genere; immagino il cineoperatore emozionato di usare questo marchingegno, apparentemente inventato da poco, nel riprendere il coraggio di uomo che non ha avuto paura di rischiare, anche se avessimo voluto che fosse andata in maniera diversa.
Antonio Vollono
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