Vertigo: il film da vedere mille volte
Ci sono opere che fanno la storia di un’arte: ecco, questo è il valore di Vertigo per il cinema.
C’era una volta un omaccione di Leyonstone che non sorrideva quasi mai, pienotto e con una calvizie non poco accentuata. Di certo non un ritratto di bellezza ideale, eppure un genio assoluto da un punto di vista cinematografico.
Mi riferisco proprio a lui, il creatore del thriller, il signore della suspense, il maestro del brivido: Alfred Hitchcock! Vertigo è una delle sue opere più riuscite. Per coloro i quali (inspiegabilmente) ancora devono vedere questo capolavoro, state tranquilli: ci terremo alla larga dagli spoiler.
In breve, possiamo dire che Vertigo è una storia di un amore tormentato, con protagonista un investigatore (John Ferguson) che dopo aver visto morire un collega, cadendo da un palazzo nel corso di un inseguimento, ha deciso di appendere la pistola al chiodo. Ma una richiesta di un amico per delle indagini a metà tra il reale e il soprannaturale, lo porteranno a rivalutare la sua scelta e (visto che un po’ di romance non fa mai male) a invischiarsi in un amore complicato. Ma queste sono solo le premesse di una vicenda molto più intricata e simbolica.
Per rendere l’idea dell’importanza che Vertigo ha nella storia del cinema, basti pensare che per Mymovies si tratta del quarto film più bello di sempre, mentre per il British Film Institute sarebbe addirittura la pellicola più bella di sempre.
In effetti, al di là del significato letterale della trama, molti sono gli elementi che fanno di questo film un cult, sotto tutti i punti di vista.
Per quanto riguarda la tecnica, forte è lo sperimentalismo di Hitchcock: l’effetto vertigo, dato da una zoomata all’indietro e una carrellata in avanti (termini che dovrebbero essere noti ai nostri lettori cinefili, per gli altri: rimandati a settembre!) nasce proprio con questo film. Importante è l’uso dei colori: il rosso rimanda a scene legate alla vita e all’ amore, mentre il blu e soprattutto il verde sono legati al motivo della morte. Prevalgono i primi piani, per avvicinare lo spettatore ai volti dei protagonisti e per carpire già solo ad un primo sguardo il marasma di emozioni che li attraversa. Hitchcock non era per nulla nuovo a intuizioni del genere, non per niente, il suo Blackmail fu il primo film sonoro della storia della cinematografia britannica.
Riguardo invece lo studio system del tempo, Hitchcock fu una vera rivelazione: non si trattava del classico regista americano che assecondava la volontà e le linee di produzione delle ricche case di distribuzione che lo assoldavano bensì (come in uno dei suoi film I Sabotatori) si serviva del sistema esistente per dare libero sfogo alla sua creatività artistica, dando vita ad uno stile personale e diverso da tutti gli altri.
Tra colpi di scena al cardiopalma e recitazioni impeccabili, il film non solo ci porta a trattenere sempre il fiato e a indagare di pari passo con il protagonista-investigatore, ma nasconde anche una serie di riflessioni profonde e per nulla banali. Fin dal titolo, è chiaro come l’idea del doppio sia una vera e propria ossessione: il doppio come spettro, simulacro, copia o semplice contraffazione, simulazione, falsificazione. Il mondo si sdoppia e i confini tra la realtà e la finzione diventano sempre più labili. Forte è in questo senso anche la riflessione metacinematografica (se questa parolona vi dovesse suonare strana, ricordate che meta- sta per “che parla di sé”): l’uomo come un attore è capace di recitare una parte, indossando una maschera e fingendosi diverso da ciò che è. Idee che si riallacciano a quelle elaborate nell’ambito della psicoanalisi, da Jung a Lacan , al buon vecchio Freud.
Neanche le riflessioni sull’amore e sulle sue degenerazioni sono marginali, arrivano a sfociare nell’ossessione o nella psicosi. In più, immancabile è il topos (non si tratta di roditori eh!) del senso di colpa, dei rimorsi di coscienza, tipico della nostra società occidentale e simpatica eredità della chiesa cristiana.
Visto il successo di questa produzione, nel trascorrere degli anni, sono state molte le citazioni e i riferimenti a quest’opera come un modello. Ad esempio, Mel Brooks ha dedicato un intero film-parodia alla ripresa di Vertigo (Alta tensione), mentre altri registi nostrani ne hanno recuperato spezzoni, come ne La leggenda di Al John e Jack ( in cui è proprio il film di Hitchcock ad essere proiettato durante delle riprese in un drive). Ma l’influenza del maestro del brivido non si ferma alla cinematografia: se amate il rock e l’Irlanda, non vi sarà di certo sfuggita Vertigo degli U2!
Quant’è difficile raccontarvi di questo capolavoro senza poter accennare al suo svolgimento… allora, sapete che facciamo? Sediamoci comodi, popcorn alla mano e lasciamo che sia il film stesso a parlare.
Ci rivediamo alla fine della proiezione!
Giusy D’Elia