L’amica geniale e la mascolinità tossica
Dire che ho amato questa saga è un eufemismo. Elena Ferrante è riuscita, con uno stile semplice ma talvolta molto pungente, a non lasciare niente al caso e a darci un quadro chiaro della psicologia di ogni singolo personaggio.
Ma proprio mentre ci addentriamo nel pieno della storia di Elena e Lila, della loro scalata sociale, scopriamo l’impatto negativo di Rino, di Nino Sarratore, di Pasquale e persino del dolce Enzo.
La Ferrante è geniale, lasciatemelo scrivere.
Non solo perché è riuscita a rendere la narrazione di un’amicizia un best seller, ma anche per la sua capacità di empatizzare con le figure femminili e raccontare gli abusi e la violenza di una società maschilista nei confronti di donne che cercano avidamente l’emancipazione.
Partiamo da Lila, costretta dal padre a non proseguire gli studi per ragioni economiche, durante un litigio viene addirittura scaraventata fuori dal balcone di casa e nel corso degli anni leggiamo di numerosi eventi di violenza fisica. Rino sembra essere il suo unico raggio di speranza, ma col tempo l’ambiente del rione e l’alleanza con i malavitosi fratelli Solara lo rendono un uomo assetato di denaro e che cerca rifugio nella droga.
Il file rouge che lega le due ragazze dal secondo volume in poi è l’amore incondizionato per Nino Sarratore, un ragazzo colto, slanciato, politicamente attivo, con una figura paterna che non è certamente un esempio da seguire.
Nino tenta disperatamente di distinguersi dal padre, si innamora di Lila, ma la ferisce, si innamora di Elena e la tradisce con decine di donne. Gioca con i sentimenti della protagonista fin dagli inizi del liceo, si insinua subdolamente nella sua vita per godere dei suoi successi e inculcare nella mente di Elena una condizione di dipendenza.
L’unico ragazzo che sembra incarnare una figura positiva dall’inizio alla fine della storia è Alfonso, l’amico di scuola di Elena. Si sposa, ha dei figli, comprende tardi la sua vera natura, vuole essere una donna, si sente una donna, ma i severi giudizi dei suoi parenti, della società, lo condizionano, oppresso in un corpo che non gli appartiene.
Questi e tutto il resto dei personaggi maschili della Ferrante, non sono altro che ostacoli per Elena, Lila e molte altre ragazze, ostacoli che subentrano dalla loro evoluzione in uomini. Infatti viene inculcato a ognuno di loro un modo di pensare errato, sono vittime di mascolinità tossica.
Rino cresce con l’ansia di guadagnare a tutti i costi per mantenere la famiglia, Nino con l’esempio di un padre che ha sempre preso in giro sua moglie, che gli ha insegnato la superbia e la misoginia velate dall’adorazione per il corpo femminile.
Per non parlare di Stefano, di Pasquale, Enzo, Pietro e i fratelli Solara.
Elena Ferrante lancia un appello disperato a noi, alla società moderna, maschilista, nociva, che plasma uomini costretti a sentirsi a disagio e a reprimere i loro sentimenti, uomini che devono apparire forti, che devono sostenere la famiglia, che devono essere al potere, uomini che possono solo essere uomini.
Un appello disperato che lancio anch’io.
Non si nasce Nino, Rino o Stefano.
Angela Guardascione
Vedi anche: Lettura d’ingrandimento: “La vita bugiarda degli adulti” di Elena Ferrante