Era il 1905 quando il primo dirigibile italiano fece il suo viaggio inaugurale nel cielo di Schio. A più di un secolo di distanza, il ricordo di uno dei capitoli più affascinanti della storia del volo.
Chiudete gli occhi e cercate per un attimo di proiettarvi a 115 anni fa. Riuscireste ad immaginare la scena?
Come in una delle avventure mostrate sul grande schermo da Méliès: “17 giugno 1905, ore 5:40. Il dirigibile usciva dalla rimessa, con il tricolore a poppavia; nella navicella prendevano posto il Conte da Schio, il tenente Ettore Cianetti e il meccanico Bottazzi. Fatta filare la fune d’ancoraggio e lasciata cadere dalla navicella un po’ di zavorra, l’aeronave s’innalzava pian piano fino a 200 metri; intanto Bottazzi aveva avviato il motore e ingranato l’elica. Finalmente il dirigibile avanzava nell’aria e per circa un’ora compiva attorno all’aeroscalo e in direzione di Schio larghe ma sicure evoluzioni. Entusiasta e commosso, il conte Almerico da Schio scendeva al suolo calorosamente festeggiato dalla piccola folla presente. La prima nave aerea italiana aveva volato: si chiamava Italia”.
Progettato e costruito dal conte Almerico da Schio, in un periodo storico in cui l’interesse per la tecnica aeronautica in Italia era scarso, l’Aeronave Italia era il dirigibile più evoluto dell’epoca.
Almerico seguiva da vicino tutto ciò che avveniva all’estero nel campo dell’aerodinamica e la costruzione di aeromobili che si basava quasi completamente sulla realizzazione di palloni aerostatici. Impossibilitato nell’ottenere ottenere officine meccaniche adeguate ai suoi scopi, dovette ottenere la quasi totalità degli elementi necessari all’estero.
Quindici anni di esperimenti e delusioni. Quindici anni di sacrifici prima di vedere la sua creatura alzarsi in volo. Un dinosauro del cielo, lungo ben 39 metri con una circonferenza di 25 e un volume di oltre 1.200 metri cubi.
Il 21, 27 e 28 giugno e il 1º luglio dello stesso anno l’Italia volò ancora alla presenza della regina madre. Pochi anni più tardi Almerico abbandonò il progetto e si convinse definitivamente che il futuro del volo era dell’aeroplano, anche a causa dei numerosi incidenti di dirigibili avvenuti nel mondo.
«Per ora dobbiamo accontentarci di voler dirigere i palloni che ci servono da danda come ai bambini ai primi passi. Di mano in mano che la meccanica progredirà, dandoci motori leggeri e forti, abbandoneremo mano mano il pallone, accostandoci al cosiddetto aeroplano che, procedendo rapido come fa il cervo volante o l’uccello ad ali tese, salirà, scenderà, si sosterrà in volo per l’impulso proprio e per reazione dell’aria sottostante»
Ma ormai le basi erano state gettate. Un futuro luminoso attendeva l’aeronautica italiana.
«Gli aviatori d’Italia s’inchinano reverenti dinnanzi alla salma di Almerico da Schio, pioniere ed apostolo dell’arte del volo e inviano alla famiglia profonde espressioni di cordoglio», scrisse in un telegramma il ministro dell’aeronautica Italo Balbo alla sua morte, nel 1930.
L’uomo che quel giorno a Schio ha dato vita ai film di Méliès e al sogno di tutti.
Illustrazione e didascalia di Simone Passaro