Normalizzare il dolore, sì ma perché?
“Chi bella vuole apparire un poco deve soffrire”.
Quante volte abbiamo sentito questa frase?Sia che si soffra per un paio di tacchi a spillo o che lo strappo della cera faccia scendere una lacrima, questo “motto” ci accompagna fin da piccole.
Il dolore è diventato ormai parte integrante nella vita di una donna e per anni non si è fatto altro che renderlo “normale”. Ma è davvero così necessario?
Beh, normalizzare la sofferenza è diventato routine e sembra si tramandi di generazione in generazione. Il pensiero di base è il seguente: la donna deve essere desiderabile. E per essere tale è necessario modificare parti del corpo, anche in maniera dolorosa, e, addirittura, assuefarsi al dolore stesso.
Basti pensare alla ceretta, una pratica antichissima e molto dolorosa che consiste nella rimozione dei peli per mezzo di strappi con la cera calda. Lascia la pelle liscia e morbida che, a quanto pare, è più piacevole alla vista. E ricordate la prima volta che l’avete fatta cosa vi è stato detto?
“Tranquilla, poi ti abitui”.
Altra cosa tremenda sono i tacchi! Portarli tutto il giorno per cerimonie o lavoro, oppure il sabato sera, provoca dolore e bolle per almeno due giornate successive. Sono ritenuti quasi necessari per situazioni formali perché rendono eleganti e slanciate.
Anche lì la solita frase: “poi ti abitui”.
I vestiti attillati e la biancheria troppo stretta rappresentano quella categoria di indumenti che una donna DEVE indossare per essere più femminile. Già nei secoli scorsi era di uso comune il famoso corpetto, strettissimo quasi da non lasciar respirare.
Beh, oggi non s’indossa più, ma direi che ha dei validi sostituti.
L’intimo, per quanto sia scomodo, rende sensuali e questa sembra la cosa più importante. Non sarò ripetitiva, ma anche in questo caso c’è la frase di rito.
Le acconciature rappresentano un’altra tortura. Forcine infilate in testa, codini che stringono in cranio e scottature da attrezzi per acconciare la chioma e renderla impeccabile, tutto questo per apparire perfette. La sofferenza è assicurata e la noia di metterli in piega anche.
Ecco, questi sono solo alcuni esempi in cui, ormai, il dolore è diventato fondamentale.
Fin da piccole ci vengono inculcati doveri che una ragazza deve seguire, e insieme a questi, ci viene insegnato anche a sopportare la sofferenza fisica.
Nel libro “Woman Hating”, Andrea Dworkin sostiene che molte pratiche intente a raggiungere la femminilità rendono accettabile il dolore nella vita delle donne, quasi come fosse parte integrante del processo di crescita.
La società che ci circonda tende a mettere in secondo piano il singolo parere facendo prevalere, come obiettivo principale, la ricerca di desiderabilità da parte di qualcun altro.
Questo pensiero è entrato nella mentalità femminile e, come sappiamo, spesso le donne sono le peggiori giudici di loro stesse. Vi invito a riflettere partendo dal verbo della fase iniziale: apparire.
Perché? Beh, probabilmente passiamo gran parte della nostra vita in questa attività anche senza volerlo e, soprattutto, tralasciando il nostro benessere personale.
Voler apparire non è sbagliato, ma è importante conciliarlo con il resto. Non accaniamoci nella ricerca di canoni a cui appartenere, ma cerchiamo la nostra originalità. Diveniamo desiderabili soprattutto per noi stesse.
Ricordiamo sempre che esistere va di pari passo con l’essere e l’unica nostra possibilità di vivere è questa, quindi, diamoci una possibilità.
“Ho promesso di essere legato all’onore ed al benessere delle donne, di fare tutto il necessario per quel benessere. Ho promesso di vivere e morire se necessario per le donne. Ho fatto quel voto una trentina di anni fa e non l’ho ancora tradito”.
Martina Maiorano
Vedi anche: Donne, li avete esasperati