Arte & Cultura

Sogno di Lisboa: ricordando Fernando Pessoa

Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Ceiro, Fernando Pessoa: varie identità per identificare lo stesso poeta, aforista, scrittore. Tanti pseudonimi per uno stesso uomo, certo, per contenere le sue istrioniche personalità.

Ma siamo sicuri che sia proprio così ?

Perché tutte i nomi, tutte le identità letterarie generate dall’individuo Fernando António Noguerra Pessoa nato il 13 giugno del 1888 a Lisbona, Portogallo, sono considerate da studiosi emeriti e dal loro stesso “genitore” come eteronimi e non pseudonimi. Il termine pseudonimo, infatti, sostituisce, senza svelarlo, il nome dell’autore, che resta quindi anonimo. L’eteronimo, invece, con l’autore coesiste, costituendo una estensione del suo carattere, forse vivendo una vita indipendente, propria.

Fernando Pessoa creava voci diverse, versi e immagini differenti a seconda della personalità letteraria alla quale voleva dare la parola: un giorno era il romantico Fernando, un altro l’ironico Ricardo, poi ancora il talentuoso e oscuro Alvaro.

 Ne riporto solo qualcuno, ma gli eteronimi di Pessoa erano tantissimi, tutti distinti l’uno dall’altro per linguaggio, fantasia, colore, emozione. Ed il suo portoghese scritto o recitato era proprio così, una rapsodia che solo una terra magica e variopinta come il Portogallo poteva creare.

I versi di Pessoa erano le voci decadenti e polifoniche di tutto un paese, complesso, probabilmente ancora oggi avvolto da un sottilissimo velo di mistero, mistero per quella terra toccata dal freddissimo oceano e costellata di borghi e città dalle architetture incredibili. Lisbona, Oporto, l’Algarve: tutti i paesaggi sono visibili nelle poesie di Pessoa, senza che esse descrivano o raccontino storie di genti e luoghi.

Il suono della poesia è sufficiente a sentirsi abbracciati dalla caldissima estate portoghese, o mitemente cullati dai suoi freschi inverni. Si sale tra le parole di Pessoa così come ci si inerpica per le acclività che portano dalla cittadina di Sintra ai suoi famosi castelli: il Palacio de Pena, il Castel dos Muros, la Quinta da Regaleria. Si gusta l’amore, saturo di passione sensuale ed erotismo, delle poesie romantiche di Fernando così come si pregusta un amplesso gastronomico con i Pasteis de Nata, desiderando ardentemente di assaporarli osservando la Torre di Belem, accompagnandoli con un minuscolo, fortissimo bicchiere di Porto.

Fernando Pessoa è, letteralmente, lo spirito del Portogallo fatto autore, è l’arte decorativa manuelina fatta scrittura. Le mille personalità di un paese sono le mille sfaccettature d’un artista, in grado di catturare,  nelle sue riflessioni e produzioni, correnti di pensiero modernissime e d’afflato europeo come “il poeta è un fingitore”  e nelle sue manifestazioni di sentimento più pure, come “tutte le lettere d’amore sono ridicole”, lo spirito di una modernità che è un procinto di manifestarsi come tale, ma ancora forse legata ad una malinconia passata, a qualche radice antica, ancestrale.

L’abbandono  totale del classicamente bello diventa l’avventura  linguistica nell’emozione e nella spinta sperimentalista di un autore che ha – finalmente- creato la possibilità di un linguaggio dell’anima. Se oggi siamo in grado di fare poesia introspettiva e descrittiva del paesaggio emotivo è prettamente grazie alle scoperte e ai tentativi poetici di Fernando Pessoa, l’uomo in grado di dividersi, di frammentarie l’io.

Leggere Pessoa è un atto di generosità ed egoismo al contempo: approcciarsi alla sua scrittura è tentativo e mezzo di capire e capirsi, è crearsi una scelta, un’occasione all’alfabetizzazione dell’anima, alla decifrazione di inquietudini e nodi che appartengono all’indefinibile, al sentire puro.

Sei ancora vivissimo, Fernando, la tua vibrante e ricca parola si concretizza e vive ancora grazie alla sua intramontabile potenza, al suo calore e alla sua nitida comprensione dell’animo umano.

Buon compleanno!

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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