Wannabe a star: quando il politico diventa influencer
Siamo nel XXI secolo e se prima possedere reti radio o tv era un privilegio che poteva svoltare una campagna elettorale, ora comparire in video sui principali canali tv non è più sufficiente per arrivare all’elettore medio.
A dirlo sono i sondaggi e gli esperti nel settore delle comunicazioni, a confermarlo con estremo rammarico è una che ha staccato la spina della tv durante un temporale nel novembre del 2015 e non l’ha ancora riattaccata.
Lo confermo con rammarico perché spesso ho sperato, chiaramente invano, che spegnendo la tv certe notizie, certe facce, certe vicende, certi fake potessero non raggiungere il mio stoico isolamento e ho dovuto invece registrare il visero fallimento di ogni mia speranza.
La politica, con un lieve ritardo e con non poco stupore e incredulità, dopo raffinatissime indagini di mercato ha compreso che il 5 di Pomeriggio cinqueè in realtà il numero di neuroni che in media possiede la platea fedele alla Barbara nazionale, motivo per il quale frequentare quei salotti non porta poi tanta acqua al proprio mulino elettorale.
Viceversa, l’elettorato attivo, inteso come quella fetta di popolazione che realmente esercita il proprio diritto al voto, che lo fa consapevolmente, previa informazione e attenta riflessione, bazzica più il mondo social che non quello dei tradizionali media. Tutto questo significa, in soldoni, una sola cosa: che da quando la politica ha incontrato il mondo dei social network nessun millennials è più al sicuro.
Proprio così: nessuno è più al sicuro. Perché se c’è una cosa che chiunque, approdato sui social da circa 10 minuti, comprende immediatamente è che gli over 45 a contatto con il web, spogliandosi di ogni pudore, ignorano o volutamente violano ogni legge, tacita regola, buona pratica e consuetudine del mondo social, dando vita a scene di raro e prezioso imbarazzo. Il mondo social in effetti offre alla politica una visibilità e una pubblicità immediata e sicuramente più prêt-à-porter di qualunque altro canale: ma il passo dalla visibilità alla sovraesposizione mediatica è molto breve.
Lo sa bene Matteo Salvini, segretario della lega, nonché Ministro dell’Interno dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019, ha messo in piedi una complessa tanto quanto infruttuosa macchina mediatica per sostenere una perenne campagna elettorale che lo ha portato a raccogliere consensi in posti improbabili e francamente sconsigliabili.
A fare da palcoscenico alla sua campagna elettorale, Instagram e Facebook usati come canali social per veicolare immagini, frasi, slogan, messaggi più meno subliminali. La sua faccia e le sue idee, immortalate in ogni dove, sono state spalmate in ogni luogo del cyberspazio dando così vita ad una sorta di loop audiovisivo.
Altro caso di campagna elettorale social è quella di De Luca, ex sindaco di Salerno e governatore in carica della regione Campania. Impegnato nella complessa e rischiosa gestione dell’emergenza covid19 e contestualmente nella campagna di rielezione governatore, il saggio De Luca ha dato vita ad un singolare fenomeno mediatico creando un nuovo e riconoscibilissimo lessico social fatto di neologismi, espressioni dialettali, metafore, bonarie minacce.
L’immagine social scelta e proposta da De Luca è evidentemente diversa da quella scollacciata e sudaticcia regalataci da Salvini nell’estate 2019: impeccabili completi blu e un rassicurante quanto istituzionale ufficio a fargli da cornice. Il linguaggio è quello piano e corretto di un politico ormai navigato, il fare è quello fermo e ferreo di un uomo che vuole mostrarsi rigoroso, di polso, che vuole proporsi come il garante della sicurezza dei suoi concittadini.
Nel giro di poche ore Instagram regala ai video del governatore una visibilità addirittura superiore a quella sperata: orde di donne più o meno mature guardano i suoi video in estatica adorazione, gli uomini trovano in lui la forza bruta che vorrebbero avere, Naomi Campbell, dall’altra parte dell’Oceano, lo elegge sindaco modello.
Eppure ad analizzare meglio entrambi i fenomeni si ha la sensazione di assistere a delle gag, ad un teatrino, talvolta stucchevole, talvolta frivolo, che poco ha a che fare con la politica, che dovrebbe essere tecnicamente savia amministrazione della cosa pubblica, e molto sembra avere a che fare con l’amore per la propria immagine.
La sensazione è che la visibilità e la popolarità ad un tratto non siano più canali, gli strumenti e i mezzi della politica ma il vero obiettivo: ed ecco che il politico si perde nella contemplazione della sua immagine, abusa dello schermo, si sovraespone come se fosse l’ultima delle starlet in ascesa. La persona diventa personaggio, il suo messaggio diventa slogan, le sue idee diventano barzellette.
Lungi da me l’essere il nuovo Jorge da Burgos de Il nome della rosa, ma ci sono due cose così serie da non dover mai essere annacquate nella comicità. Una di queste è il sesso, l’altra è la politica.
Valentina Siano