Come Jonathan Livingston mi ha insegnato a volare
Correre, correre e ancora correre.
Essere più veloce di un fulmine.
Imparare l’alfabeto, contare a mente e colorare senza uscire dai bordi.
Futuro è la parola che sento dire più spesso dal 1996.
Devi pensare al tuo futuro!
Che programmi hai per il futuro?
Pensaci, magari poi in un futuro…
Tutto è una continua corsa e io non so mai a che fermata scendere.
Faccio anche il biglietto, ma poi succede che mi perdo e non so più tornare in stazione.
Siamo la generazione del tutto e subito, quella che non sbaglia un colpo, che deve laurearsi in tempo altrimenti mamma e papà si arrabbiano, quella che piange per una lode mancata, che aspetta di vincere un concorso pubblico, quella che a trent’anni prova ancora a realizzare il sogno del cassetto.
E intanto siamo anche quella che smette di respirare.
Nessuno si ferma, tutto scorre, omogeneo e passivo.
Anch’io correvo, senza sapere dove volessi arrivare.
E la parola carriera mi è pesata come un macigno sullo stomaco.
Sembrava di essere in un film, un Truman Show che si era imposto con un certo stile di vita.
E anche il finale era già chiaro.
Ma poi un giorno, una prof mi parlò di un gabbiano.
Uno di quelli con la smania di volare al di sopra delle nuvole.
Jonathan Livingston io non lo conoscevo, ma lui era già famoso.
Cinquant’anni fa è diventato uno dei best seller mondiali solo per aver tentato di spiegare a parole uno dei concetti più complessi: la libertà.
Il gabbiano Jonathan si distingue da quelli del suo stormo perché a differenza degli altri che
non vacillano, non stallano mai, (…) lui – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.
Sfida le leggi della natura che lo vorrebbe silenzioso, disinteressato e capace di usare le ali solo per nutrirsi. Nessuno capisce il suo desiderio e nessuno ci prova nemmeno. Jonhatan è ormai un reietto e nello stormo Buonappetito non è più il benvenuto.
Ma in poco tempo, lontano da quel mondo che lo ha visto esiliato e in solitudine, Jonathan impara a padroneggiare perfettamente tutte le tecniche di volo più difficili, comprendendo le leggi del vento e dell’altezza. Cerca di raggiungere la perfezione, l’indipendenza di giudizio, la planata giusta e l’atterraggio impeccabile “oltre i limite del qui e ora”.
Ma attenzione: considerarsi liberi ha sempre un prezzo!
Significa fare i conti con responsabilità, solitudini difficili e fallimenti.
Tutto solo per imparare a volare, fermarsi e finalmente respirare.
In questo, è un libro anche terribilmente duro, doloroso, perché non nasconde il difficile cammino che si deve percorrere nel momento in cui si prende atto della propria condizione e si trova il coraggio di cambiarla.
Una delle frasi che sottolineai fu:
Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.
Da quel momento smisi di correre e non mi chiesi più da che parte andare. Presi tempo e cominciai a respirare.
Qualche volta sento ancora le ali sbrindellate, pesanti come piombo.
Ma poi succede che l’ebbrezza del volo, spazza la fatica e la desolazione.
Ancora non riesco a tornare in stazione, ma ogni tanto, planando dall’alto la vedo e so che quella non è casa mia.
Serena Palmese
Vedi anche: Il piccolo principe: guida alla riscoperta dei sentimenti