David: il dramma dell’assenza dei Vucciria
Quando si esce dalla reggia di Capodimonte a fine spettacolo, con l’ondeggiare delle palme, il freddo pungente dei giardini, l’imponente ampiezza degli spazi e la solida bellezza dei palazzi, ti rendi conto che non c’è luogo più adatto a Napoli per il David dei Vucciria.
Per il Napoli Teatro Festival Joele Anastasi invade Capodimonte con la cupa e incandescente lava dell’Etna.
Per info sul Napoli Teatro Festival ’20 https://napoliteatrofestival.it/edizione-2020/
Joele Anastasi è David, un figlio non voluto, un fratello mai nato, un posto vuoto su una poltrona, una vita solo immaginata, un dolore mai superato. David è il fratello minore di un figlio unico, il secondogenito respinto, individuo mai nato che pure in qualche modo prende corpo e vive. David è il grande assente protagonista di questo dramma familiare.
David vive nell’immaginazione e nell’attesa, ormai abortita, di Antonino (Eugenio Papalia), fratello maggiore pur essendo figlio unico, che ne disegna perfettamente ogni tratto somatico, ogni piccolo dettaglio del carattere, ogni elemento della sua storia.
David vive nel rassegnato silenzio di sua madre (Federica Carruba Toscano), nel suo dolore, nel mutismo impenetrabile che lei ha scelto come punizione per la sola colpevole della morte del suo bambino: la sua arrendevole accondiscendenza alla volontà del suo uomo.
David vive nel senso di colpa di un padre, Francuccio (Enrico Sortino), che trascorre la sua vita piantando fiori e coltivando il rimpianto: il rimpianto di un amore appassito, di una moglie desiderata, di una gioia perduta.
Almeno una volta avrei voluto urlarti che ti odiavo
I personaggi del dramma abitano la dimensione dell’attesa stroncata, dell’assenza, dell’impossibilità. Solo Antonino sembra sottrarsi a questa dimensione, sembra non accettare l’assenza, anzi sembra ovviare alla mancanza con l’immaginazione.
Dal genio sfrenato e onirico di Joele Anastasi una storia di ordinario dolore declinata nelle tinte controverse e fosche tipiche dei Vucciria; raccontata con silenzi, gesti, pause, immagini; una storia che si dipana e si fa via via più chiara nei dialoghi che hanno tutto il fascino del lessico e degli accenti siciliani.
Un gioco di luci al neon, quello di Martin Emanuel Palma, che crea dei profondi chiaroscuri; una vasca d’acqua che rievoca il mediterraneo come l’utero di una madre, entrambi teatro di lutti e sciagure; i seni di una Federica Carruba Toscano, più che mai intensa, simbolo di una maternità mutilata; la nudità statuaria di Joele Anastasi che con eleganza fa del suo corpo un’opera d’arte; uno stereo che suona, una tavola imbandita per tre e non per quattro, un giardino fiorito coltivato nella speranza eterna del perdono, litri e litri di latte, un busto del David che si scioglie nell’acqua come forse ad un tratto dovrebbe sciogliersi il dolore e la solitudine dei protagonisti.