Il ragazzo dell’Aveyron: la prova che un Mowgli è esistito davvero
Quando la realtà supera la fantasia capita di imbattersi in storie al di fuori del credibile.
Rientra tra queste la storia di Victor, il ragazzo dell’Aveyron, che appare come un predecessore del cucciolo d’uomo Mowgli, avendo vissuto proprio come lui la propria infanzia in modo selvaggio.
Il giovanissimo Victor fu avvistato per la prima volta durante l’ultimo decennio del Settecento in Francia. La sua vita si svolgeva nei boschi del Massiccio Centrale: viene da domandarsi se avesse come compagni di giochi un branco di lupacchiotti e a coprirgli le spalle una pantera nera e un orso giocherellone.
Ma la storia di Victor non è spensierata come quella di Mowgli.
Victor non ha sviluppato la parola, non conosce gli uomini e fugge da loro. Ma è proprio dagli uomini che, incuriositi dalla presenza di un “ragazzo selvaggio” avvistato tra i monti dell’Aveyron, viene catturato.
Il cucciolo d’uomo fu avvistato per la prima volta nel 1797, per poi essere catturato all’inizio del 1800, divenendo da subito un caso di studio per i medici e gli psicologi. All’epoca dimostrava circa dodici anni, era alto centotrentasei centimetri e non conosceva il linguaggio umano. Era spaventato dagli uomini e cercava continuamente di fuggire.
Quando fu trovato vagava per i boschi, riuscendo difficoltosamente a stare eretto; si nutriva solo di ciò che poteva offrirgli l’ambiente. Nel 1801 divenne paziente del pedagogista francese Jean Itard che lavorò alla sua rieducazione, ma con scarso successo.
Da subito il giovane dell’Aveyron fu creduto sordomuto. Non parlava infatti e tanto meno dimostrava di comprendere il linguaggio umano. Si rifiutava di mangiare qualunque cosa non conoscesse già, accettando quindi solo patate, noci e castagne crude dopo averle fiutate. Il processo di rieducazione non fu per niente semplice e fruttò ben pochi risultati al pedagogista Itard.
La prima cosa cui si cercò di risalire fu l’origine del giovane ragazzo: se fosse stato abbandonato tra i boschi alla nascita o quando aveva già qualche anno. Ed è proprio attorno a questo inestricabile nodo che è legata l’intera riflessione sulla vita del piccolo Victor. In un primo momento si notò come non sapesse stare tra gli altri, rifiutasse la compagnia. Rifiutava anche di dormire in un letto, evidenziando il suo disagio strappandosi i vestiti.
Victor fu trasferito a Parigi, presso l’ospedale per sordomuti da cui provò a scappare almeno quattro o cinque volte. Lì fu ad ogni modo studiato a lungo, si cercò principalmente di scoprire il motivo per cui il ragazzo fosse tanto restio a parlare. Sul suo corpo furono ritrovate numerose cicatrici, che furono classificate come ferite da attribuire a scontri con animali nei boschi, o a ustioni causate dal fuoco. Solo una cicatrice rivelò essere differente dalle altre.
Victor aveva sul collo un lungo taglio trasversale, di 4,1 cm., presso il limite superiore della trachea, all’altezza della glottide.
Sembrò dunque essere questa la causa del mutismo del ragazzo: una ferita che gli era stata inferta con un’arma da taglio. L’ipotesi fu che Victor fosse sopravvissuto a un tentativo di omicidio da parte di chi lo aveva abbandonato nel bosco.
Da ulteriori esami cui il ragazzo fu sottoposto si scoprì che non era assolutamente minorato nei sensi, che mostravano essere solo alterati nell’ordine d’importanza rispetto a quelli delle persone comuni. Per Victor infatti senso primario era l’olfatto, seguito poi dal gusto, dall’udito, dalla vista e solo infine dal tatto. I suoi sensi si erano insomma riorganizzati per permettergli di sopravvivere alla vita dei boschi, come fosse un animale selvatico.
Sulla sua incapacità di parlare la causa fu attribuita principalmente alla ferita alla gola che gli era stata inferta orientativamente quando non aveva più di cinque anni di età, ma i medici non escludevano che il ragazzo presentasse anche un ritardo mentale.
Il ragazzo fu infine affidato alle cure della signora Guérin, che se ne occupò fino alla morte. Durante la rieducazione operata su Victor, il pedagogista Itard notò che il giovane reagiva mostrando serenità al suono dell’esclamazione “oh”. E fu quindi proprio un’idea di Itard, quella di battezzare il giovane selvaggio con il nome di Victor, in modo che il ragazzo sentendo quel suono dolce venendo chiamato si rasserenasse. Ciò nonostante la scelta del nome non fu comunque casuale; ricalca infatti il nome del protagonista del dramma Victor ou l’enfant de la forêt, che narra la storia di un giovane rampollo di alto lignaggio che viene però abbandonato nei boschi dalla famiglia.
Per quanto Itard cercò di educare il giovane Victor, di coinvolgerlo e di invogliarlo ad avere una vita sociale, i suoi tentativi fruttarono ben pochi progressi. Victor dimostrò di essere un individuo piuttosto asociale, tendendo a comunicare con i fatti e ricorrendo alla scrittura solo quando non poteva farsi comprendere diversamente.
L’ultimo punto della riflessione si ricollega circolarmente al primo aspetto analizzato dai medici: l’origine del piccolo Victor e le cause del suo abbandono. Il nodo è infatti inestricabile. Non è possibile riconoscere la causa e l’effetto.
Victor era stato abbandonato perché aveva un ritardo o il ritardo si era sviluppato in seguito all’abbandono?
Nel primo caso si tratterebbe di un ragazzo martire, abbandonato dalla famiglia a causa di un deficit mentale, nel secondo caso invece sarebbe appropriata la terminologia di ragazzo selvaggio, autoeducatosi alla vita dei boschi.
Francesca Caianiello
Per approfondire l’argomento recupera L’infanzia e il linguaggio.