Lolita? No, mi chiamo Dolores
Nabokov con il suo capolavoro ci ha fatto annegare nella psicologia di Humbert Humbert. Ma Lolita?
Una figura controversa, poco approfondita, capricciosa, una bambina. Era solo una bambina quando Humbert le ha portato via la sua adolescenza per ottenere piacere.
Una ninfetta, così la descriverebbe il protagonista. Dolores è molto di più di questo, ma per tutto il libro sembriamo non capirlo, concentrati sulla brutalità del suo aggressore, che fa di tutto per possederla.
I suoi tratti fisici acerbi sono l’unica caratteristica che conosciamo, il resto viene lasciato alla fantasia del lettore. Dov’è il carattere? Dove sono i pensieri di Lolita?
Non esistono, Humbert li prosciuga con la sua smania di risucchiare anche il minimo sprazzo di vita della sua figliastra. L’unico appiglio deve essere lui, l’unico essere umano che si curi di lei, l’unica fonte di cibo, l’unico modo per avere un tetto sulla testa, l’unica speranza per mantenersi.
In un’opera di violenza fisica e psicologica Humbert nega a Lolita prima il suo vero nome, Dolores, poi la sua famiglia, Charlotte, la madre, e infine la sua adolescenza, le amicizie, gli amori innocenti, l’istruzione.
Humbert priva Lolita della sua stessa identità, trasformandola in un involucro vuoto, una bambina che non lo abbandonerà mai perché non sa dove andare e non sa più chi è.
Filtrata attraverso gli occhi disturbati del protagonista, non la vedremo mai per chi è veramente. Dal loro primo incontro, infatti, lei non è Dolores, è già Lolita, lo è sempre stata e lo sarà fino alla fine; una fonte di piacere, un trauma infantile a cui aggrapparsi, la soddisfazione di una smania di possesso e la cura ad un’eterna solitudine.
Azar Nafisi, nel suo libro Leggere Lolita a Teheran, ci rende partecipi del percorso di formazione di alcune studentesse dell’università che leggono classici della letteratura occidentale. L’Iran le possiede e le manipola, proprio come Humbert Humbert con l’innocente Dolores, l’Iran le costringe a coprirsi a nascondersi, le priva lentamente della loro identità.
L’unico spiraglio di salvezza sono i libri. La libertà è leggere Lolita a Teheran.
Questo è un invito, un invito ad essere sempre Dolores, mai Lolita; un invito a lottare per un nome, per un’identità, perché è la cosa più preziosa che abbiamo ed è ciò che ci salverà.
Leggiamo Nabokov ovunque, a Napoli, a Parigi, a Seul, a Teheran.
Leggiamo Lolita per ribellarci, per empatizzare, per odiare e per sognare.
Leggiamo Lolita sapendo di essere Dolores e saremo sempre libere.
Angela Guardascione