Prima – Nel nome di Giambattista Vico e Giacomo Leopardi e i buchi neri
Silvio Perrella, curatore e mente organizzatrice della sezione letteratura del Napoli Teatro Festival 2020, chiude la rassegna Prima con un polittico che segue il filo conduttore del prima attraverso il pensiero e le idee di due grandi del pensiero occidentale: Giambattista Vico e Giacomo Leopardi.
La chiusura della rassegna Prima è una chiusura corale, uno spettacolo a più voci, dove la musica incontra la fotografia, l’immagine incontra la parola poetica, il ritmo si fonde con il verso. Ogni voce, ogni contributo si dipana e poi ritorno all’unico filo conduttore che muove l’intera rassegna: il prima, il passato, quello spazio temporale in cui ha origine il presente, in cui ha origine quello che siamo adesso.
Il prima è lo stesso spazio in cui ha origine la rassegna stessa: pensata e progettata nel prima del covid, la rassegna ha dovuto cambiare spazi, tempi, modi e quindi forme. La necessità non ha però cambiato lo spirito e le intenzioni dell’incontro: un incontro di riflessione e dialogo nei toni morbidi e leggeri che solo Silvio Perrella sa creare.
Allora il prima viene declinato in varie storie e attraverso varie voci.
Quella ancestrale e primitiva dei tamburi di Alfio Antico, che proviene da un luogo lontano nello spazio e nel tempo. É la voce delle nonne, delle filastrocche antiche, delle ninnananne, delle storie familiari, del passato storico della Sicilia. Nel suono dei tamburi di Alfio risuonano la caccia agli Angioini, i vespri siciliani, uno zio amante del vino, le processioni e i riti di una terra romantica e selvaggia, una nonna che si prende cura dei suoi nipoti, la verità sull’amore.
La storia professionale e umana di Antonio Biasiucci, fotografo di terra, come lui si definisce. Una storia fatta di un prima, a Dragoni, piccolissimo paesino del casertano dove affondano le sue radici, e di un dopo, a Napoli, la metropoli dove ha inizio la sua formazione, dove scopre la fotografia per scoprire se stesso e una città che non riesce a capire. La sua è una fotografia che nasce nel prima, che lo indaga, che lo testimonia, che ne porta tracce più o meno evidenti.
Il resoconto del percorso artistico, poetico e filosofico di Leopardi, rintracciato e ricostruito nelle pagine dello Zibaldone da Florinda Li Vigni, docente e ricercatrice nonché segretario generale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Il prima di Leopardi è un prima buio e asfittico, quello trascorso a Recanati nella casa di famiglia: è un prima in cui il giovanissimo Leopardi fa esperienza dell’infelicità umana, la conosce perché la sente, ne trova testimonianza nella sua personale sofferenza. Eppure il prima, anche se infelice e opprimente, attraverso il ricordo, attraverso il filtro delle ricordanze, delle rimembranze può essere rivalutato come un’età felice, come l’età delle illusioni, l’età della speranza che è il futuro.
Il prima di Leopardi è anche il prima degli uomini primitivi, degli antichi, soli esseri capaci ancora di illudersi e di essere felici. Leopardi, come Vico, vede nella ragione, nella capacità di ragionare, di indagare il presente con occhio razionale l’impossibilità di essere felice, l’incapacità di illudersi, l’irreversibile inaridirsi dell’esistenza umana. Il prima, dunque, è lo spazio felice, un’isola feconda di speranze per il futuro che la falce del presente inevitabilmente stronca.