Franca Sozzani: le rivoluzioni made in Vogue Italy
Nella lunga storia di Vogue, fondato a New York nel 1892, l’edizione italiana del periodico si è distinta per la qualità dei servizi, per l’impatto artistico, l’impegno sociale.
Oggi è considerata la miglior rivista di moda al mondo, la più autorevole e prestigiosa (Debbie Press, Your Modeling Career, 2004).
Fondato nel 1965, Vogue Italia restò nell’ombra dei fratelli Vogue US e Vogue Paris per ben 23 anni. La rivista boccheggiava, le vendite erano misere… finché finalmente, nel 1988, la biondissima e riccioluta Franca Sozzani non ottenne il ruolo di direttrice della rivista.
Molti erano scettici: la rivista era giovane, annaspava alla ricerca di collaborazioni prestigiose e di fotografi di successo e la nuova direttrice, giovane anch’essa, non aveva l’aspetto autoritario e serio di cui Vogue Italia sembrava aver bisogno. Tuttavia bastò la pubblicazione di pochi numeri perché la Sozzani dimostrasse che una donna, e per di più con una reputazione di relazioni scandalose e un figlio illegittimo, potesse rivoluzionare insieme la rivista e la figura stessa del direttore.
L’intera carriera della Sozzani è tempestata di brillanti scelte coraggiose, intuitive, che i più consideravano di volta in volta stupide, imprudenti o il frutto dell’inesperienza della neo-direttrice.
Fin dal primo numero della Sozzani, del luglio 1988, assistiamo ad un brusco cambio di rotta.
Robyn Mackintosh per Vogue Italia, luglio 1988. Foto di Steven Meisel
La copertina è vuota, semplice, priva di fronzoli. Su uno sfondo monocromatico si staglia una modella scapigliata e naturale, con un’espressione intensa ma come colta alla sprovvista. Prima di allora, tutti i servizi seguivano uno schema inventato dal Vogue americano: modelle a figura intera (in primo piano per la copertina) su sfondo chiaro, accompagnate da lunghe didascalie per i dettagli su abiti, accessori e tendenze.
Franca rompe lo schema.
C’è una rivendicazione della fotografia, dell’arte, del messaggio. I servizi e le foto raccontano una storia. C’è un recupero del semplice impatto visivo, e insieme una rivendicazione della donna spogliata di costrizioni e costruzioni. E, di fatto, una sola frase rompe il vuoto e il legame con il passato: “il nuovo stile”.
È poca cosa? La copertina del numero immediatamente precedente, giugno 1988, è un primo piano della giovanissima Naomi Campbell, schiarita dalle luci e ingrigita da fondotinta non adatti al colore della sua pelle.
Anni dopo la modella britannica ha rivelato al programma BBC Woman’s Hour che il makeup artist “non aveva fondotinta per modelle nere. Dovette mischiare quelli che aveva per crearne uno, ma uscì fuori molto grigio. […] Piansi quando il servizio fu pubblicato”. Per contro, il leggendario Black Issue della Sozzani (luglio 2008) spiattellò in prima pagina i nomi esemplari delle supermodelle di colore vittime del razzismo e dei double standards della moda.
Tornando ai numeri della Sozzani, questi sono i mesi in cui si crea il profondo legame artistico con il fotografo Steven Meisel: la donna-musa di Meisel è scomposta, selvatica, con i capelli battuti dal vento. Reclama un suo spazio nel mondo occupando con pose geometriche e forti lo spazio vuoto della fotografia, oppure con un’espressione solenne e intensa. E Franca ha vissuto già 38 anni rivendicando la fermezza della sua voce, del suo messaggio, oltre l’aspetto da ninfa ribelle.
Rachel Hunter, settembre 1988 – Linda Evangelista, febbraio 1989.
Foto di Steven Meisel
Già dopo i primi anni diventa evidente che Vogue Italia non è più una vetrina pubblicitaria per vestiti, scarpe e tendenze. Piuttosto, i servizi hanno una nuova densità figurale, nuovi scopi comunicativi, un nuovo sapore espressionistico.
Quindi non sorprende che i loro servizi siano tra i più discussi dell’ambiente. Ugualmente amati e odiati, hanno comunque il merito di aver sollevato grandi e fondamentali dibattiti globali e, in ultimo, di aver così avvicinato il pubblico allo sfavillante mondo della moda. Franca Sozzani ha recuperato e ristabilito il valore sociale, politico e culturale della moda.
Nel luglio 2005 viene pubblicato il servizio Makeover Madness, che denuncia l’abuso e la glamourizzazione della chirurgia plastica: sarà il primo di una lunga, scandalosa serie di numeri impegnati.
Franca raccoglie con estrema lucidità questioni sociali e generazionali e di volta in volta li denuncia, celebra o racconta attraverso Vogue Italia. L’intento comunicativo strappa quindi Vogue Italia dal mondo commerciale e pubblicitario, per restituirlo invece all’arte.
Altri esempi? Nel luglio 2007 il servizio Cleansing mostrava le modelle in riabilitazione, nell’algido ambiente degli ospedali, o emulava le foto dei paparazzi che in quegli anni riempivano le pagine dei gossip.
E non erano proprio quelli gli anni di Amy Winehouse, la cui iconica Rehab è del 2006? Del breakdown di Britney Spears, di Lindsay Lohan, di Kate Moss? Del boom di droghe e delle star ubriache con l’iconica sigaretta tra le mani?
E chi ha dimenticato il disastro ambientale della piattaforma petrolifera nel golfo del Messico, che nel 2010 rilasciò in mare oltre 127 milioni di litri di petrolio?
La copertina dell’agosto 2010 denunciava The Latest Wave nella questione dell’inquinamento, con modelle impiastricciate di petrolio e avvolte in drappi e reti, come sirene intossicate o uccelli morenti.
Ma nel corso di quasi trent’anni, il Vogue della Sozzani è stato così imponente, poliedrico e dinamico e si è spinto in così tanti dibattiti, in così tante direzioni… che andrebbe studiato come un manuale di storia dell’arte: con lo stesso stupore, la stessa sensibilità.Ripercorrere la successione dei numeri della Sozzani è come ripercorrere la storia della società degli ultimi trent’anni, dei suoi problemi, delle sue conquiste tecnologiche. Significa guardare ai suoi segreti più scabrosi, agli scandali, ma anche alla bellezza in evoluzione.
“Ogni numero ero pronta ad esser licenziata, perché capivo che il lavoro che stavo facendo… era una lavoro per il futuro”.
- Franca Sozzani (1950 – 2016)
Maria Ascolese