La filosofia del Jazz. L’improvvisazione è un processo dialettico?
Da musica di estraniazione popolare a espressione artistica. Sintesi tra angoscia ed entusiasmo alla vita.
Siamo agli inizi del XX secolo e gli Stati Uniti deportano schiavi provenienti dall’Africa occidentale.
La genesi del Jazz é contrassegnata dall’incontro dell’energia afroamericana e dall’urlo di sopravvivenza che afferma vitalità.
È la cura dello “star bene” a fronte della condizione sociale della comunità nera sottomessa al bianco. Una dialettica sociale che va oltre l’espressione artistica: il principio di solidarietà nato dalla sofferenza di un individuo e dalla comunità che si fa carico di quella sofferenza.
Scopo del Jazz è raccontare un momento di angoscia che si esaurisce in un processo di affermazione gioiosa alla vita. È la dialettica del servo-padrone, in cui l’autocoscienza perviene mediante l’interazione con l’altro. È un rapporto conflittuale, in cui una delle due coscienze cede e si assoggetta all’altra, diventandone serva. Ma la vittoria del padrone è temporanea.
Attraverso la musica vi é un ribaltamento dialettico, in quanto il servo diviene padrone e viceversa. La semantica del Jazz è strettamente legata alla strategia per cui lo schiavo si appropria della parola del padrone e ne rovescia ironicamente il senso. È un ribaltamento di tipo esistenziale: il servo aumenta consapevolezza di sé, diventa libero, mentre il padrone diviene assoggettato.
Un operazione riassunta in un racconto popolare, il “Signifying Monkey”, che letalmente significa “la scimmia che prende per il culo”, interpretato nel 1988 dal letterario Henry Luis Gates, il quale individua un sistema retorico-interpretativo sulla cultura africana e afroamericana.
Un modello in seguito ripreso da Samuel Floyd, musicologo e direttore del “Center for Black Music Research”, il quale attraverso la metafora della scimmia che sfugge al leone spiega la dinamica del processo di trasformazione in cui la comunità nera vince sul bianco, mediante l’istinto di sopravvivenza.
È il filo rosso che collega tutta la storia del Jazz. È il rapporto tra soggetto-oggetto- altro alla base dell’improvvisazione, dell’armonia eterna che ancora caratterizza questo stile musicale. Il soggetto, il musicista, si mette in relazione con l’oggetto, lo strumento. Ma questa relazione non si esaurisce nell’immagine romantica del musicista solitario. Il soggetto esce fuori da sé e si esaurisce nel rapporto con l’altro, il pubblico.
Infatti non vi è distanza tra chi suona e chi ascolta. È una musica di tradizione orale, la quale attraverso influenze sociali diviene pratica sociale. È nella dinamica di interazione tra musicisti e pubblico che avviene l’improvvisazione. Vi è un vero e proprio rapporto dato dalla reazione, o feedback, dell’altro che si riverbera sulla musica. Dinamiche sociali interne che governano l’andamento, il ritmo, il grow e il flow della musica stessa.
Dunque il Jazz non è un fenomeno direttamente percettibile, occorre un terzo orecchio. Il primo ostacolo siamo noi stessi, o meglio, le nostre abitudini percettive. Siamo abituati a riconoscere le cose in determinate categorie, soprattuto in estetica. È fondamentale poter esperire le cose da un punto di vista differente.
È la vittoria della schiavitù che si ripercuote nell’eterno ritorno. È il “Signifying Monkey”, la scimmia che vince sul leone e trova la sua vittoria nella relazione con l’altro.
È l’esperienza dell’improvvisazione, come processo dialettico, che si spoglia di ogni attributo sociale legato ai ruoli, alla razza, al ceto e vince sulla schiavitù del sistema.
Marika Micoli
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