A Ghost Story: Essere e Tempo
Scritto e diretto da David Lowery, con Rooney Mara e Casey Affleck, A Ghost Story, è il racconto muto e struggente di un fantasma che ha modo di osservare la sua inesistenza durante il dopo e che attraverso il moto circolare del tempo riesce a riviversi ma non ad afferrarsi.
La pellicola è del 2017, ma i sentimenti e le emozioni che scaturiscono dalla visione di questo piccolo capolavoro sembrano riallacciarsi a qualcosa di eterno e immortale. Nonostante si tratti della storia di un fantasma, a far paura non è l’essere in sé, come accade spesso nella grande tradizione dell’orrore, ma il suo solitario percorso e l’alito invisibile che lascia contro i vetri della casa che ha abitato. A spaventarci è la riflessione su quel vuoto esistenziale, quell’impossibilità dell’azione, quella sottrazione dello sguardo di chi ha conosciuto e amato.
Nonostante l’aspetto sia quello tradizionale ottocentesco e passatista di un lenzuolo con due buchi per gli occhi, la cadenza del suo vagare e il senso ultimo e infinito del film hanno a che fare con un esistenzialismo che poi si riallaccia col cosmo.
Per Heidegger, l’uomo è essere-nel-mondo, cioè l’uomo è nel mondo in modo tale da progettare il mondo stesso, ma è anche essere-tra-gli-altri, non esiste solipsismo assoluto perché non può esistere un io isolato senza gli altri. L’esistenza stessa presuppone un’apertura verso il mondo e verso gli altri. Una volta che l’uomo è sceso a patti con la realtà cadendo al livello delle cose, secondo quella che il filosofo chiama “deiezione”, egli viene gettato nella realtà in mezzo agli altri esistenti. In un solo momento l’uomo può dirsi essere individuale ed è quando sopraggiunge la morte, la quale lo isola con se stesso.
Allo stesso modo il fantasma dell’uomo che fu viene isolato nonostante continui a vivere quel luogo in cui si stava consumando la sua storia d’amore. Vede letteralmente il tempo scivolargli addosso, senza intaccarlo, ma trascinando con sé ciò che conosceva e ciò che viene dopo. Diventa parte di una struttura temporale che ruota su se stessa ma di cui si ignorano effettivamente inizio e fine.
In questi processi che durano ere e che rifuggono qualsiasi intromissione dell’uomo mortale e impotente ci sono le vite di tutti, le azioni, gli affetti. Ma nel gelo di un tempo che solca i campi del mondo, si instaurano e bruciano le scintille vitali di amori che non sono riusciti a spegnersi e che trattengono l’essenza di chi non vuole lasciarli andare. Essi guardano dall’esterno del proprio corpo e dall’interno della propria casa l’oggetto di un desiderio ormai impossibile.
Quello che regala il film è un senso di nostalgica disperazione di fronte ai limiti di un’esistenza che seppur eterna non può connettersi col mondo nel modo in cui vorrebbe. Se l’uomo è colui che si prende cura delle cose che gli occorrono compiendo scelte e manipolandole, quando gli sarà impossibile farlo sarà un non-essere, una vaga identità la cui dannazione è però, in questo caso, il ricordo latente della sua esperienza passata e la leggerezza nei confronti di quella quotidianità anonima che spesso gli ha fatto dubitare di se stesso. Perché, alla fine di tutto, quello che cerchiamo è il mondo ma quello che raggiungiamo è il cosmo a 33 fotogrammi al secondo.
Maria Cristiana Grimaldi
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