Enola Holmes: perché?
Non ci girerò troppo intorno: per chi, come me, ha letto tutti i romanzi di Arthur Conan Doyle, ha amato Robert Downey Jr negli Sherlock Holmes di Guy Ritchie, ha trovato geniale il riadattamento dei romanzi proposto con la serie Sherlock, Enola Holmes, una delle ultime proposte di Netflix, andrebbe evitata quasi come avrei voluto serenamente evitare il 2020.
Ora se avete letto l’articolo The Umbrella Academy: non proprio la fine del mondo penserete che forse sto esagerando, che sono di gusti troppo difficili o che forse il mio parere su film e serie tv non è poi così attendibile. Siete liberi di pensarlo, ma io vi spiegherò lo stesso cosa, secondo me, proprio non va in Enola Holmes, film di Harry Bradbeer della durata di 2h e 3 minuti, interpretato da Millie Bobby Brown, l’ultimo prodigio sfornato dalla serie ormai cult Stranger things.
Enola è la sorella brillante, promettente e ribelle dei due più illustri fratelli Holmes, Sherlock e Mycroft. Figlia di un’attivista inglese, che vede un’interpretazione sprecata di Helena Bonham Carter, viene cresciuta senza un’adeguata educazione, completamente priva di buone maniere ma con delle competenze e conoscenze tanto strabilianti quanto inutili per una giovane donna del XIX secolo. Animata da una grande curiosità, da un acume che tutto farebbe pensare essere fuori dal comune, da un certo spirito femminista, da una grande indipendenza intellettuale ed esistenziale, Enola, anagramma di alone si ritrova ad affrontare e a dover risolvere, appunto da sola, un fitto mistero: l’improvvisa e inspiegabile scomparsa della madre.
Ad intrecciarsi e a complicare il filone narrativo principale, intervengono alcuni filoni e personaggi secondari: il tentato omicidio di una giovane e avvenente marchese e la sua conseguente fuga, l’arrivo dei fratelli maggiori di Enola, che si mostrano fin da subito ostili o comunque noncuranti nei confronti di una sorella minore che andrebbe piuttosto destinata ad un rigido collegio inglese che la raddrizzi e la prepari ad un buon matrimonio.
Di fronte a questi ostacoli, che crollano con la potenza di una frana nella vita spensierata di Enola, ci si aspetta una reazione, una scintilla che faccia deflagrare tutta la straordinaria potenza intellettuale e abilità investigativa della piccola Holmes: eppure tutto questo non accade. Enola risolve piccoli rompicapi, fa deduzioni inutili, decifra anagrammi solo grazie agli strumenti forniti dalla madre scomparsa, pianifica ridicole fughe, eppure nonostante ciò, Sherlock, qui interpretato da un davvero poco credibile Henry Cavill, il grande e infallibile Sherlock, quella mente brillante e inarrivabile di cui è impossibile non innamorarsi, non riesce a starle dietro, anzi fieramente impressionato dagli straordinari successi della sorella ne deve addirittura registrare le superiori capacità investigative.
È a questo punto che subentra inevitabile l’indignazione, la necessità di dire “fermi tutti, ma questo che non riesce ad intercettare delle mosse prevedibili come solo quelle di un adolescente possono essere, dovrebbe essere Sherlock Holmes?”. È a questo punto che, davanti alle mille falle della trama, ci si aspetta che sia tratteggiato almeno un personaggio affascinante, intrigante e, invece, ci ritrova difronte ad una ragazzina a mala pena ordinaria, una che nega coraggiosamente la necessità di un uomo e di un buon matrimonio e cinque minuti esatti dopo si eccita per il baciamano di un ragazzino aristocratico.
Ad arricchire ulteriormente una trama così abilmente tessuta e un sistema di personaggi così egregiamente imbastito, ci sono una serie di elementi straordinariamente campati in aria: l’atteggiamento isterico di Mycroft nei confronti della sorella minore, il suo inspiegabile livore nei confronti della madre scomparsa, la libidinosa attrazione di una decrepita istitutrice nei confronti del molto più giovane e avvenente Mycroft, l’apatica inconsistenza che rasenta il rincoglionimento di Sherlock, la scomparsa della madre che con stoica ostinazione, fino alla fine, ci tiene a non avere una ragione.
Alla fine di 2 ore di film, che sarebbero state tranquillamente riassumibili in 60-70 minuti, siamo poi anche costretti a sorbirci la morale femminista tradotta in un messaggio di un’originalità folgorante, un monito che da solo basta a spazzare via secoli di asfissiante maschilismo: la mia vita è solo mia e il futuro dipende da noi! E così come per incanto, orde di adolescenti si affrancarono dall’orrendo patriarcato che le voleva schiave, sottopagate e sminuite.
Allora a questo punto dell’articolo sarà già subentrata in voi la domanda “perché allora dovrei guardare Enola Holmes?”. Questa volta mi sento solo di accodarmi al vostro interrogativo: perché dovreste?
Valentina Siano
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