Febbre, confessione libera della riconquista di un corpo
Febbre è il libro di Jonathan Bazzi – il suo esordio – ma anche la sua confessione, il suo racconto, la fiction senza filtri, la testimonianza reale di una marea di anime sommerse, quella dei bambini invisibili a cui lui dedica l’opera in apertura.
I bambini invisibili siamo tutti noi, lui – Bazzi – è quell’outsider che, in fondo, siamo un po’ tutti, maschera davanti ad una storia, un percorso.
Febbre, edito da Fandango libri, è stato in concorso da finalista all’ultima edizione del premio Strega.
Ha sfiorato con irruente forza candidati esperti come Veronesi o la Parrella, ha toccato in profondità tutti noi.
La copertina scopre gli occhi sanguinanti di un tarocco, iconografia della febbre, non solo un sintomo persistente della malattia ma anche quello dell’inadeguatezza con un corpo in costante conflitto, con il proprio io e con un contorno sociale opprimente.
Lo scrittore racconta, nella potente drammaticità di un flusso di coscienza, l’infanzia e l’adolescenza di Rozzano, difficile periferia sud di Milano e la scoperta di quel mostro invisibile, proprio come certi bambini a cui si faceva cenno, del virus HIV.
Stigmatizzare se stessi fino a scomparire, rifiuto terminale ai margini di certe convenzioni e non, degne di un vissuto. Poi l’accettazione che arriva quasi con la consapevolezza dell’esistenza carnale di un corpo, la convivenza e la rivincita. Una rivincita che arriva, urlata, da un megafono di parole attraverso il suo ruolo di giornalista e blogger. Attraverso il peso inesorabile delle parole che rivelano una verità, una presenza.
«Ma sei sicuro? Pensaci bene. È proprio necessario? Chi te lo fa fare? Guarda che una volta che l’hai fatto non si torna più indietro. Una volta che l’hai detto, qualsiasi cosa farai in futuro – anche la più grande, la più importante – ti ricorderanno sempre per questo, metteranno di fianco al tuo nome sempre la stessa qualifica: autore sieropositivo, scrittore sieropositivo».
Queste le parole che ritornano, lo stereotipo da vincere subito dopo un mostro che può essere contenuto, vinto.
La vita che, come lui ammette, si riassembla come un mosaico smantellato e disposto un po’ meglio. Trama lucente, disegno più bello.
Nel mezzo, come detto un duplice binario, che scorre come un flashback tra il racconto di crescita e quello contemporaneo, attuale, legato alla malattia. Più di un romanzo, un vero libro di formazione. Resoconto di una periferia difficile, come detto, Rozzano. Quasi una provincia all’inverso, tanto vicina e tanto distante dalla centralità caotica e perfezionista di Milano.
Una provincia fatta di case popolari e colori spenti, appartamenti in serie, conglomerati urbani fatti di palazzoni e melting pot culturali. Strade divise da nomi di piante e fiori. Dove si sente forte anche la difficile integrazione di un Sud troppo lontano da casa.
«Un sud sradicato e reimpiantato in fretta[…]. Un sud raffreddato, senza mare, senza famiglia, senza più tradizioni. È la sua forza impetuosa e animale virata al negativo, affamata, ingabbiata in quei palazzi in serie senza il mondo intorno. Rozzano è Sud sequestrato, incattivito, in cattività».
Un Sud che inevitabilmente si interseca anche nel racconto intimo della famiglia, di Tina e Roberto, mamma con famiglia di origini napoletane e padre con nonna di origini siciliane. Due anime all’opposto, due clan che si scontrano, due sfere estranee che si toccano con la nascita di Jonathan. Poi ancora recriminazioni, desiderio di evasione, urla, minacce, due percorsi destinati a separarsi.
Febbre è un viaggio emotivo e sincero attraverso quella sottile linea che sancisce il diverso, lo scindere di un percorso borderline tra l’inadeguato e l’accettato, tra l’emarginazione e la consapevolezza, tra i dubbi e il rimuovere ogni schermatura da quel delicato e fragile concetto di diverso. Gli anni scolastici, le complicazioni di una famiglia ordinariamente imperfetta, i colori. Quelli spesso tenui e delicati che si alternano a luccichii e vivacità, un viaggio di educazione sentimentale attraverso la scoperta della propria sessualità. L’essere gay in rottura di un paradigma sociale che spesso è soffocato, tossico, feroce fino a spolparti.
Si è queer in un mondo di plastica irreale o reietti intollerati.
Febbre inevitabilmente ci rappresenta, siamo stati e siamo tutti figli, abbiamo spesso visto la nostra vita incastonata in una dimensione troppo stretta, di vestiti che non ci appartengono. Abbiamo urlato contro i nostri padri e le nostre madri, amato e odiato la nostra famiglia e le nostre radici di periferia. Abbiamo scoperto la nostra sessualità, abbiamo ripudiato momenti indigesti e appropriazioni indebite dei nostri corpi.
Questo è un romanzo dei nostri tempi, un diario formativo, uno dei migliori degli ultimi anni.
Claudio Palumbo
Vedi anche: Fermati, che Napoli canta il Bello attraverso la musica dei suoi vicoli