La carica queer dell’arte in Call Me By Your Name
Lo so che a incuriosire basterebbe anche solo un fermo immagine con quel bronzo di Riace che è Oliver e il profilo greco di Elio incorniciato da quei riccioli cesellati, ma qui, ora, cercheremo di sviscerare qualche sottigliezza più cerebrale che magari è sfuggita ai più.
Inutile ignorare quale sia la parte della pellicola che ha suscitato più curiosità, più rewatch compulsivi e interpretazioni fantasiose – l’emoji della pesca è rimbalzata da un polo all’altro del web diventando il simbolo più gettonato della creazione di Guadagnino – ma sono certa che persino i cultori di questo piccolo gioiellino del cinema recente, dopo questa lettura, ne sapranno apprezzare ulteriormente – se possibile – la raffinatezza poetica.
Che Elio e Oliver siano la perfetta incarnazione di un’ibridazione identitaria, che dribbla con eleganza la dittatura delle etichette, è chiaro a tutti: entrambi ci regalano una performance ambiguamente sublime di desideri, interazioni e comportamenti in bilico tra latente omoerotismo e sfacciata eterosessualità.
Elio, ad esempio, è la sintesi perfetta di razionalità mascolina e sensibilità femminile – i due rigidi binari che la cultura occidentale ci propina da sempre – mostrandosi tanto nei panni del classico teenager scatenato sulla pista da ballo, seduttore seriale capace di far girare teste e spezzare cuori, quanto in quelli dell’anima solitaria dalla sensibilità fuori dal comune e dalla vena nostalgica, che spende intere giornate a trascrivere musica classica, a leggere I Frammenti di Eraclito e a rimuginare ossessivamente su come rivelare i suoi sentimenti ad Oliver.
Ed è proprio nel gioco di sguardi, nei rimandi ambigui e negli espedienti audiovisivi trovati da Guadagnino, che si intreccia una fitta rete di corrispondenze semantiche ed emotive che caricano gli scambi tra i due protagonisti di sottile tensione erotica, aiutandoli ad esplicitare in modo non verbale questa reciproca “anomalia” attrattiva.
Ma facciamo uno zoom nella trama per capirci di più…
Elio è in giardino a strimpellare la chitarra, sta suonando il Capriccio Di Bach, che Oliver, dando cenni di apprezzamento, gli chiede di replicare al pianoforte.
Ma Elio, fingendo di eseguire la stessa sinfonia, la altera invece ripetutamente: prima riproducendo la versione delicata e seduttiva di Franz Liszt, e poi quella pomposamente aggressiva ed esaltata di Busoni.
Oliver, irritato da quella iniziativa non affatto richiesta, fa per andarsene dal salotto quando, all’ultimo, Elio trova il coraggio di replicare la sua melodica ed intima versione, seguendo uno spartito musicale in-between tra le due performance precedenti.
Il pianoforte diventa così uno strumento di comunicazione alternativa, una forma di confessione fluida, a metà tra l’espresso e il taciuto, tra la delicatezza del suo ego femminile e la spavalderia della sua fiera mascolinità.
Ecco che attraverso letture “inedite” della melodia, Elio incoraggia Oliver a guardare la realtà con un nuovo paio di lenti, rendendo la musica una pratica queer in grado di deviare l’orientamento – sessuale, cognitivo e percettivo – del suo fruitore.
La stessa suggestione ci viene regalata da un’altra indimenticabile scena, quando Mr. Perlman, padre di Elio ed eccellente archeologo, nel passare in rassegna alcune slide raffiguranti nudi maschili ellenistici in compagnia di Oliver, suo allievo, afferma: “ (…) not a straight body in these statues. They’re all curved,(…) hence their ageless ambiguity—as if they’re daring you to desire them.”
Subito dopo questa estatica affermazione del professore, segue uno sguardo sospettoso, interrogativo e compiaciuto di Oliver, che proietta segretamente quella riflessione sulla vaghezza attraente, tortuosa e diversamente “straight” del suo nascente romance.
La scena flash che spia Elio al piano di sopra, nell’atto di leggere il messaggio scritto a matita da Oliver “Ci vediamo a mezzanotte” – mentre in salotto accade quanto appena descritto – innesca una dinamica simultanea di desideri fino a quel punto inespressi, ora liberi da inibizioni e sublimati dall’erotismo di quegli antichi artefatti.
Metteteci anche la prodigiosa somiglianza tra Elio e quelle statue greche, che crea immediatamente un fil rouge tra la fascinazione di Oliver per quelle sculture e la sua misteriosa pulsione verso quel ragazzino dai tratti aristocratici.
È così che in entrambe le scene del film, attraverso esperienze sinestetiche che uniscono libido classica e desideri presenti, l’indole queer viene resa esplicita e socialmente accettabile. Una performance al pianoforte rivisitata diventa il luogo fluido di confessioni altrimenti represse, una pratica autoriferita capace di liberare l’ambiguità queer dell’identità di Elio.
La contemplazione di sensuali sculture – di un periodo storico conosciuto per l’ibridazione dell’accentuata mascolinità greca con la bellezza femminile – suggerisce una lettura “riparatoria” degli “intoppi” tra sesso, genere e desiderio.
Attraverso l’arte e fini espedienti audiovisivi Luca Guadagnino è quindi riuscito a verbalizzare i desideri rimossi e invadenti di identità senza forma, che sfuggono a dualismi e categorie troppo anguste, trasformandoli in una continua, affascinante epifania a cui abbandonarsi.
E capolavoro fu.
Francesca Eboli
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