Vita d’un uomo: il Nonno di Poggiomarino
Quando impariamo a conoscere e amare i nostri nonni, questi sono già anziani, invecchiati da una grandissima quantità di giorni, ricordi ed esperienze.
Una quantità così grande che noi, ingenui bambini, non riusciamo nemmeno ad immaginare.
Se ho realizzato questa verità apparentemente ovvia è solo perché i miei nonni paterni hanno sempre avuto uno spirito nostalgico e un po’ poetico.
Raccontano sempre di lunghi viaggi in auto, di falò in riva al mare, della sera in cui si sono conosciuti.
Mio nonno dipinge: ritrae le spiagge farinose della Sicilia dove lui e la nonna trascorrevano le vacanze, indicando con il dito nodoso questo o quel dettaglio mentre le mostra ai nipotini. Mia nonna ha un inesplorato talento narrativo: snocciola ricordi di lunghe notti d’estate, passate a fumare e chiacchierare sotto un pergolato profumato o sul balconcino di una casa al mare, con immagini belle, veloci e sfuggenti come lei.
Quindi, abituata ad amare queste storie, ho amato anche ogni minuto passato con il mio bisnonno Vincenzo.
L’ho conosciuto tardi: a 99 anni suonati (età che gli ha procurato il titolo ufficiale di “Nonno di Poggiomarino” nel 2015), ancora viveva con l’adorata moglie Pinuccia, ormai debole e stanca.
Quando lei si è spenta, lasciandolo solo e dimidiato dopo 72 anni di matrimonio, il povero bisnonno si è trasferito dai miei nonni, lasciando la casa in cui aveva vissuto per mezzo secolo.
Questo 99enne non era come gli altri. In lui non c’era alcun segno di debolezza, di anzianità.
Dev’essere immaginato come un signore elegante, energico e allegro, con i capelli bianchi e il viso straordinariamente liscio. Si svegliava tutti i giorni alle 6 – un lascito dell’esercito della Seconda guerra mondiale. Era sempre in una camicia dai colori tenui, profumava sempre di dopobarba e aveva il sorriso più disteso e naturale del mondo.
Qualche volta lo coglieva la malinconia, e l’ho visto asciugare poche lacrime silenziose nel fazzoletto di stoffa: ognuna portava un aneddoto sulla sua cara Pinuccia.
Ma molto più spesso era gioviale, chiacchierone.
Chiacchierone? Nipoti e bisnipoti, siamo stati tutti sorpresi quando abbiamo scoperto che ancora parlava fluentemente francese, lingua che aveva imparato durante la guerra. Ci credete che aiutava le nipotine con i compiti a casa di grammatica francese?
E certamente non era istruito, avendo frequentato la scuola solo per pochi anni. Eppure mio padre ancora ricorda che ad ogni visita sorprendevano i nonni Vincenzo e Pinuccia a spulciare grosse e costose enciclopedie, spesso sparpagliate sul tavolo della cucina: fu la curiosità la loro maestra.
E se poi – ma solo dopo aver finito i compiti – gli avessi chiesto di raccontarti dei sommergibili da guerra, avrebbe preso il prezioso cofanetto delle medaglie e avrebbe descritto i lunghissimi stivali di gomma della squadra che coordinava come Capo Silurista.
Spiegava che il sommergibile era sempre pieno di almeno un metro d’acqua, per la condensa dei vapori dei macchinari e dei loro respiri, e che il rollio lo rendeva come un’enorme culla.
Raccontava che una volta, durante la Seconda Guerra Mondiale, erano stati colpiti da un aereo inglese. Il proiettile aveva letteralmente “bucato” il sommergibile, che quindi imbarcava acqua come da una fontana aperta. Secondo dopo secondo, litri e litri di acqua salata si univano a quelli della condensa.
Ma a metà di questo racconto avvincente sorrideva, spiazzando tutti. Spiegava che usarono lo spesso e solido manico di una ramazza – una scopa! – per tappare il buco e tornare al porto.
E a proposito di fughe bizzarre! Una volta furono addirittura colpiti da una bomba! La sentirono cadere sul ponte del sommergibile… E nient’altro. La bomba rimase miracolosamente inesplosa.
Tornarono lentamente e cautamente verso il porto di Taranto, sobbalzando ad ogni dondolio, non sapendo se e quando sarebbero stati sorpresi dall’esplosione –come sugli alberi le celebri foglie.
Dopo questo ricordo tutti, nipoti e bisnipoti, ridemmo della fortuna del bisnonno: se fosse perito in guerra nessuno di noi sarebbe mai nato.
Questi aneddoti suonano lontani, mitici, hanno quasi un sapore antico ed eroico. Ma proprio per questo quando erano mitigati dal suo sorriso, quando erano spezzati dalla comicità della scopa napoletana e soprattutto quando si intrecciavano con l’amore per la sua Pinuccia, acquistavano una nuova luce commovente e dolce.
In spiragli, dietro pochi e brevi racconti, si intuisce tutta la vita di un uomo – come il cielo oltre l’osteriggio di un sommergibile.
E a noi riesce facile intristirci.
Tutta una vita, con tutto quello che c’era dentro, è svanita: e come lei tutte le altre di tutti gli altri perduti. È una verità così naturale, pura e universale da diventare incomprensibile.
Solo la buona saggezza spicciola di un uomo centenario poteva afferrarla, per offrirla generosamente ad una bambina: “la vita è una ruota, ma prima o poi si deve fermare”.
Maria Ascolese
Vedi anche: Ricordi di mio nonno: ‘O Muccaturo