Fatti di apparenze o essere reali: chi vogliamo essere davvero?
Da sempre uno dei pilastri portanti dell’assetto sociale è formato dalla dicotomia tra apparenza e realtà.
Una dicotomia che riguarda molti aspetti della sfera sociale e personale. Vi è un sottile confine tra i due poli opposti, molto confondibili tra loro.
È il velo di Maia di Schopenhauer, secondo cui la realtà visibile è apparenza, illusione, in quanto nulla ci garantisce che quanto esiste o accade non sia un mero sogno.
La comunicazione è la chiave d’accesso per alleggerire il peso di questo labile confine. Ma la comunicazione non è solo il mezzo attraverso il quale ci relazioniamo agli altri, bensì è il primo passo per smettere di mentire a se stessi.
L’errore umano, molte volte, è quello di farsi suggestionare dalle aspettative dell’altro, per questo è necessario allontanarsi dalla malsana idea di voler costruire un immagine di sé ad hoc, con l’unico scopo di piacere agli altri.
Il mondo dei social media oggi mette a disposizione una quantità di strumenti necessari affinché ognuno di noi possa rispondere ai giusti requisiti per una determinata categoria. Dal finto fashion blogger al finto intellettuale. L’estetismo estremo che porta ad un’universalità di personaggi tutti uguali.
È indubbio come la moda, l’estetica, i canoni di bellezza, siano sempre al centro della vita relazionale di chiunque, perché purtroppo l’apparenza è la mediazione della comunicazione tra noi e l’altro, è la genesi dell’opinione che ci facciamo di ciò che è esterno a noi. È il fondamento di ciò che sappiamo dell’altro e di ciò che l’altro sa di noi.
Però quando ti abitui a nasconderti dietro la costruzione di un personaggio che alla fine non ha nulla a che vedere con te stesso, è difficile uscire da quell’artifizio e mostrarsi per quello che si è davvero.
Per paura di non essere accettati magari.
Rispetto all’antica Roma in cui le classi sociali erano ben ristrette a due categorie, in cui il valore della persona era dato esclusivamente dal patrimonio, oggi abbiamo davvero modo di essere liberamente noi stessi. Non abbiamo davvero bisogno di mostrare quello che non siamo, indebitandoci per un iPhone piuttosto che per una t-shirt firmata.
L’idea compulsiva di mostrare un aspetto di noi che in realtà non conta. Se mai contasse per qualcuno, be non importa.
Il problema è che la maggior parte di noi è costretto a recitare parti per le quali non ha nessuna inclinazione. Te lo chiedono i tuoi genitori i quali ti vorrebbero avvocato ma tu vuoi studiare agraria, l’università che invece di darti strumenti per vivere ti riempie di infinite nozioni, il lavoro che ti chiede un determinato abbigliamento, le relazioni amorose che chissà quali precetti dogmatici seguono. Insomma, è il sistema che ti chiede continuamente di rispettare le apparenze, perché affinché tu riesca come persona, le apparenze contano. Il mondo ci considera, ci percepisce e ci giudica da come ci muoviamo, parliamo, da come ci vestiamo e da quello che possediamo.
È la menzogna di un ideal tipo che rende infelici molte persone. Fin da bambini impariamo a discriminare tutte le anomalie del sistema. In Italia all’incirca 200 giovani ogni anno si tolgono la vita per bullismo. Il mondo del bullismo è un contenitore di male che tocca molti aspetti: dall’omosessualità alla condizione economica, fisica e psicofisica di molta gente.
Se il sistema invece di insegnarci ad omologarci si concentrasse sull’abbattimento della barriera tra apparenza e realtà ognuno di noi si sentirebbe veramente libero di potersi esprime con le sue stranezze. L’infinite realtà personali possono convergere in un’unica realtà senza scontrarsi.
Marika Micoli
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