Gummo: un teatro di strada dell’assurdo
“Caro mondo, sono confuso dalle oscure elucubrazioni del mio cervello. Ho cercato… ho cercato in tutti i modi di farcela in questo schifoso mondo, ma credo che il primo errore sia stato quello di nascere. Non ho nessun senso di colpa per il mio suicidio. Ho provato alla vostra maniera, ho sempre lavorato fin da quando avevo 13 anni. Lavorare per vivere non è mai stato un problema per me. Il problema è che sono circondato dall’oscurità. È buio! È buio! È buio! Ora mi punto la pistola alla testa e sparo”.
Gummo è un film indipendente del 1997 scritto e diretto da Harmony Korine. Il film non ha una vera e propria trama, ma mostra in maniera frammentata, per nulla lineare, diverse situazioni e personaggi della cittadina di Xenia, in Ohio, colpita in passato da un tornado che ha causato ingenti danni e ha ucciso molte persone, lasciando numerosi bambini orfani e un fortissimo stato di degrado.
Il film si concentra in particolare su una coppia di ragazzini: Tummler (nomen omen: significa “agitatore” o ribelle in lingua Yiddish), il più grande, e Solomon, praticamente un bambino.
I due vanno a caccia di gatti randagi, per poi venderli ad un macellaio, con l’intento di guadagnare qualche soldo. Pagano per avere dei rapporti sessuali con una ragazza affetta da sindrome di Down e devono fare i conti con un ragazzino, Jarrod, il quale fa loro concorrenza nell’uccidere i gatti, ma si occupa anche della nonna costretta a letto in stato catatonico.
Immediatamente ci troviamo davanti ad un’atmosfera post-apocalittica di provincia, ispirata apparentemente ai fatti realmente accaduti nell’Ohio (Xenia) nella metà degli anni ’70. Gummo è l’opera prima del regista Harmony Korine ed è stata girata in soli 20 giorni con un budget di poco più di un milione di dollari, peraltro, con un cast costituito da attori non professionisti. La narrazione sembra procedere come un vero e proprio flusso di coscienza in mezzo ad un mucchio di macerie.
“Xenia, Ohio, Xenia, Ohio…Qualche anno fa un tornado si è abbattuto sul villaggio. In tanti sono rimasti uccisi, qui sono morti cani, sono morti gatti, case spaccate a metà, collane e braccialetti sopra gli alberi…i morti avevano le ossa che gli uscivano dalla testa, Oliver ha trovato una gamba sul letto. Molti padri di famiglia sono morti durante il grande tornado, io ho visto una ragazza volare per aria e gli ho guardato sotto la gonna. La scuola è distrutta e sono morti dei bambini. Il mio vicino è stato fatto a pezzi e aveva una bici da corsa e un grande triciclo, la sua testa non è mai stata trovata… mi è sembrato divertente”.
Gummo è figlio di tutte le inquietudini della società moderna, di una realtà agghiacciante rappresentata senza alcun tipo di filtro etico. Non è altro che un’immersione quasi documentaristica in un mondo amorale, in mondo grottesco e spietato, a partire dai passatempi e dalle movenze dei singoli personaggi, tanto goffi quanto – spesso di puro ripiego – inutilmente crudeli.
Per non parlare di alcune sequenze tanto sconnesse da apparire surreali ed illogiche, con personaggi che vivono in una propria, rispettiva piccola realtà, in cui è quasi impossibile rapportarsi con gli altri.
Inoltre la voce di Solomon, cupa, soporifera e a tratti enciclopedica, accompagna scene di povertà in cui aleggia una depravazione aberrante; in cui non ci sono canoni etici e strade da perseguire.
Bambini che sembrano la copia deformata degli adulti e, troppo presto, coscienti di mondo estraniante e nichilista: un vero e proprio teatro di strada dell’assurdo, un urlo di rabbia alla Beckett.
Così, vediamo vite strisciare in un buco nero e catatonico, senza risparmiare scene sarcastiche ed ironiche: “Conoscevo un ragazzo dislessico, ma era anche strabico: così è venuto fuori bene, tutto sommato”.
Il regista lascia parlare molto i suoi personaggi, spesso attraverso dei dialoghi connotati da humour nero, o monologhi molto introspettivi, resi tali anche da riprese di tipo amatoriale; insomma, dei filmini in 16 mm alternati da riprese e montaggi tradizionali. Persino le luci fluorescenti sembrano connotare i personaggi al limite della follia. Forse la scena più incisiva e forte della pellicola, ad esempio, è quella in cui assistiamo al monologo davanti allo specchio di Tummler (in effetti si tratta di un suicidio simulato), seguito da una specie di rituale satanico, intermezzato da uomo sconosciuto, il quale si incide con il sangue il logo della band thrash metal Slayer.
In tutto questo scenario, il metal sembra essere perfetto per evidenziare l’urlo liberatorio intriso di rabbia e di aiuto alla base della sceneggiatura.
Tuttavia, trapela una chiara funzione catartica, anche per noi spettatori, sebbene non ci sia nessuna forma di redenzione. Gummo è un film che fa riflettere senza sfociare in fronzoli intellettuali, senza una trama intricata, ma sicuramente complessi sono i temi e le reazioni che suscita. Gummo è la realtà che non amiamo osservare e facilmente ce ne dimentichiamo.
Marianna Allocca
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