Le borgate: passato presente
Nel maggio del 1955 Pier Paolo Pasolini esordiva nella narrativa con Ragazzi di vita, da sempre considerato uno dei racconti più incisivi e schietti della vita nelle borgate romane.
Sin dalla sua pubblicazione fece scandalo, l’opera fu avversata dalla borghesia benpensante abituata a far finta che quell’umanità degradata non esistesse, scandalizzata dal fatto che il popolo basso e rozzo delle borgate romane potesse ottenere dignità letteraria.
Poco dopo la pubblicazione del romanzo Pasolini fu bersagliato dalle critiche e subì un processo a Milano per oltraggio al pudore, dal quale fu assolto anche grazie alle testimonianze favorevoli di molti importanti scrittori tra cui Moravia e Ungaretti.
Quando, lasciato il Friuli, Pasolini si trasferisce a Roma ha la possibilità di osservare attentamente la città e le sue infinite contraddizioni.
Il suo sguardo attento e riflessivo fu subito attratto dalle borgate romane del dopoguerra, lasciate a se stesse dallo stato italiano, una vera e propria terra di nessuno dove sullo sfondo di degradanti case ed edifici semidistrutti e abbandonati si muovevano come automi senza speranza nè sogni i loro abitanti.
La particolarità di questo romanzo è nel linguaggio che l’autore utilizza, ossia il dialetto romano. Con questo espediente ci catapulta ancor più nel mondo di queste persone, ci indica la differenza tra loro e il resto della società istruita e benestante. Egli stesso in una lettera all’editore parla proprio di mimesis, ossia, attraverso l’uso del vero linguaggio parlato, ottiene un racconto realistico e anche distaccato dalla realtà dove l’autore tende a non far percepire la sua presenza.
Protagonisti di questo onesto e commovente racconto sono i ragazzi delle borgate, che, attraverso lo svolgersi delle loro vite, ci tracciano un preciso quadro di come la vita sia difficile e a tratti disperata in questi luoghi.
Il Ricetto, Marcello, il Caciotta, Begalone e altri sono i sottoproletari che tentano di sopravvivere, gettati fin da piccoli senza tutela nel caos della vita corrotta e immorale che la mancanza di punti di riferimento ha reso tale.
Sono figure immaginarie ma reali, denunciano l’abbandono che migliaia e migliaia di persone nel secondo dopoguerra vivono e gli effetti che questo abbandono delle istituzioni e degli organi di informazione ha sortito su di loro, trasformandoli in veri e propri animali che agiscono solo ed unicamente in base ai loro istinti. Raccontando la loro crescita Pasolini ci indica l’evoluzione negativa che questi personaggi hanno, passando da un’infanzia in cui vi sono ancora dei sentimenti seppur accompagnati da atti di disonestà, alla giovinezza in cui quel minimo barlume di umanità è scomparso, induriti dalle esperienze. Emblematico è l’esempio del Ricetto che all’inizio dell’opera, ragazzino, si butta nel fiume per salvare una rondine che annega e alla fine del libro invece, ormai cresciuto, non si smuove alla vista di Genesio che sta affogando trasportato via dalla corrente dell’Aniene.
Pasolini era consapevole della necessità di provvedimenti per far sì che le cose cambiassero per dare alle borgate una vera possibilità di riscatto e di sviluppo. La mancanza di attenzione e interesse da parte dello stato favoriva l’indisturbato proliferare del degrado.
L’oscurità in cui una parte consistente della popolazione viveva non consentiva uno sviluppo della società egualitario, con la conseguenza di notevoli squilibri. Ragazzi di vita è una chiara opera di denuncia fatta in modo molto originale e di impatto per lasciare un segno duraturo nella mente delle persone. Facendo parlare questi sottoproletari, mostrandoci le loro disavventure è come se anche noi partecipassimo attivamente alle loro vite e il nostro coinvolgimento emotivo è sicuramente amplificato.
Viene da chiedersi dunque, a tanti anni di distanza dalla stesura di questo racconto, se la situazione delle borgate sia migliorata. Di certo non abbiamo il brutale degrado dell’epoca di Pasolini ma la situazione non è delle più floride.
Le borgate rimangono un microcosmo chiuso in se stesso dove la criminalità fa sentire forte la sua presenza e spesso è anche l’unico modo per guadagnarsi da vivere. La mancanza di istruzione e l’abbandono precoce della scuola da parte dei giovani è un fenomeno ancora frequente.
Qui la rabbia delle persone è tanta e lo squallore pure, gli edifici popolari cadono a pezzi insieme al riscaldamento alle tubature e alle fogne, essendo pubblici e di proprietà dello stato sono le istituzioni che dovrebbero occuparsene facendo l’adeguata manutenzione, ma sono latitanti e il decadimento continua.
Tutto ciò innesca una lotta tra poveri ed infatti numerose sono state le proteste quando degli appartamenti sono stati assegnati a famiglie di immigrati generando la rabbia degli abitanti di quartiere, spesso toccando livelli di xenofobia. Famosa è la frase semplice ma forte che disse un ragazzo, Simone, contro i militanti neofascisti e la situazione assurda che si era creata: “Non me sta bene che no, io so de Tore Maura, e che è colpa dei rom?”.
Ricordiamo la teoria della finestra rotta secondo cui il degrado porta sempre altro degrado e non intervenire aumenta solo l’invivibilità, il disordine e la criminalità. Speriamo quindi che qualcuno si svegli e faccia il proprio dovere impedendo che i vetri di altre finestre si rompano.
Beatrice Gargiulo
Vedi anche: Pasolini e i “Ragazzi Di Vita”, impossibili da sospendere