Stasera a Napoli niente “mille culure”
Lavoriamo nel quartiere Forcella.
A pochi passi da dove è stata uccisa Annalisa Durante.
Lavoriamo in un bene confiscato alla camorra e lavoriamo con il teatro, l’arte, la musica, la bellezza, gli eventi che scuotono i cuori e le vite delle persone.
Noi lavoriamo a Napoli, anche se Napoli non è l’unica città da cui proveniamo.
Lavoriamo in un gruppo ampio, pieno di prospettive e in questi mesi, abbiamo lavorato più a distanza di prima, nella speranza che la distanza potesse farci tornare a lavorare vicini.
Stasera, vedere che una parte di Napoli è scesa in piazza ci ha destabilizzato.
Perché?
Oggi pomeriggio, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, è apparso sui propri social media incitando il governo Conte alla misura più drastica di tutte: l’ormai noto lockdown. Da questa sera, sempre qui, in Campania, proprio da dove sto scrivendo io, dal mio tavolo in camera da letto, alle 23.00 sarebbe entrato in vigore il cosiddetto “coprifuoco”.
Sono le ore 1.03 e le ambulanze, le macchine della Polizia si sentono anche da qui, dalla mia camera di Materdei.
Non è un buon momento per la nostra storia.
Scendere in strada, ora, è pericoloso perché Napoli, la Campania, è uscita e ha protestato.
I social imperversano, si schierano e urlano dalle tastiere, mentre orde arrabbiate corrono per la città.
Ma chi sta protestando e perché?
In strada, ora, ci sono persone che dal primo lockdown non sono uscite ancora, persone che economicamente non hanno potuto provvedere dignitosamente a loro stesse . Poi ci sono quelli che divorano la città, quelli che urlano “libertà” solo perché non amano tenere una mascherina e coloro che quella mascherina la vedono come una costrizione fittizia.
Complesso, vero?
Le motivazioni per una protesta, quelle che spingono un italiano del Sud Italia a scendere in piazza contro un sistema che evidentemente non ha funzionato, possono essere sacrosante. Le medesime motivazioni si tramutano, però, in violazione quando la protesta si mischia alla barbarie e, soprattutto, alla violenza, alla rabbia che scuote gli animi manipolabili e le tasche vuote. Una rabbia che si dimentica di chi ha perso i propri cari e una rabbia che dimentica che domani, gli atti di oggi, potrebbero portare ad altri mesi di stenti.
Protestare, sì, uccidere la civiltà, no.
Protestare civilmente è ossimorico? Forse sì, forse abbiamo solo bisogno di capire come urlare senza sputarci addosso in piena pandemia, letteralmente e metaforicamente.
Ma chi ce lo insegna?
De Luca non lo ha fatto, purtroppo. E il terrore, genera terrore e il terrore genera frustrazione genera rabbia e la rabbia, ora, genera il sonno della ragione.
Noi lavoriamo a Forcella, nel cuore di Napoli.
Pardon, riformulo, noi lavoriamo a Forcella, nel Ventre di Napoli.
E come Matilde Serao fece, chiediamo l’intervento delle istituzioni affinché non ci siano altre vittime dell’ignoranza, affinché ogni classe sociale non debba essere così accanita nei confronti dell’altra. Ma come Matilde Serao sapeva, come Matilde Serao scriveva nella seconda parte de “Il Ventre di Napoli”, costruire sulle macerie non fa altro che accrescere la speculazione edilizia senza provare nemmeno a curare cosa è malato.
Per questo, stasera, è una pagina buia per la nostra Napoli, appesa al filo del governo, intrappolata nel malcontento, in trasporti che non hanno visto miglioramenti e una sanità che molti, prima di toccare, hanno volutamente evitato di lavare le mani a fondo, pare tramortita, spaccata nel rimorso del passato e incerta verso il futuro.
E noi, non eletti figli del Vesuvio, guardiamo la cenere cadere sul mare nero della notte di Napoli e vi invitiamo ad essere come quella ginestra che Leopardi racconta: fiori che spuntano sulla terra arida, solidali con la vita e carichi di lotta per la bellezza.
Benedetta De Nicola e altre 70 ginestre: la redazione del magazine La Testata