To Rupi or Not to Rupi? Il fenomeno Rupi Kaur e la Instagram poetry
Partiamo dal presupposto – importante ed essenziale – che oggi 4 ottobre è il compleanno di una grande poetessa.
Una poetessa tanto grande quanto è piccola: 28 anni, un metro e sessanta scarso e un viso pulito, eternamente giovane, con quella perfetta pelle ambrata e liscia, profondamente indiana.
La sua voce poetica, dolce e decisa, è quella dei millennial colti, sensibili.
Rupi Kaur, tanti auguri!
La forza dei versi moderni, immediati della poetessa canadese di origini indiane, si è abbattuta con forza e potenza sulla fenomenologia culturale del 2015 e del 2016 lasciandola grondante, intrisa. Non vi era aspirante poeta – o più probabilmente poetessa – che non volesse essere questa bellissima figlia dell’India educata in Occidente, cresciuta nel sacrificio e nella terra di mezzo tra due culture. Non vi era instagrammer che non ricorresse a quei brevi, significativi incisi, a quelle chiuse assolute, emotive, enfatiche. “Parts of my body still ache/from the first time they were touched”, ci confessa Rupi, dal suo corpo di giovane donna pieno di vita, in mutamento, ancora acerbo di esperienza e satollo di potenziale.
La femminilità struggente, il viaggio nella pubertà e nella adolescenza del corpo della donna, il trauma di dover condividere quel tempio sacro e così proprio con una collettività invadente e curiosa, affamata di curve, di seni, di mani, di sesso: tutto riflette il dolore della crescita, dell’accettazione, della ricerca di se stessi al di là di aspettative, apparenze, giochi di ruolo.
Il confronto con l’uomo avviene nei modi più violenti, più vuoti e traumatici che una donna possa sperimentare ed in questo Rupi non si perde esplicitamente nell’auto-confessione, prova a superarsi, a farsi grido e canto di ogni donna usata, tradita, perduta, violentata, abusata. Il femminismo della sua poesia è palpabile ma Rupi non ricorre all’odio del maschile, anzi.
L’uomo è descritto con lo stesso amore, lo stesso interesse, la stessa compassione. Egli è invitato all’abbandono di sterili stereotipi e alla tenerezza, alla costruttività, all’amore.
E l’amore per le radici, la natura, per l’altro è il cuore pulsante delle due fortunatissime raccolte di Rupi Kaur: Milk and Honey e The sun and her flowers. Sole, cuore, amore.
Ed è un po’ questo slancio di solidarietà universale legato al concetto profondamente ottimistico di “da un grande dolore deriva grande gioia” o la tritissima filosofia del “dal percorso per amare me stesso, amerò tutti” ha portato un gran coro di voci – di poeti e non – a levarsi all’unisono in protesta. Di cosa? Della semplicità, della semplificazione di meccanismi estremamente complessi della realtà, della mistificazione e santificazione del femminile.
Ma no, questa sono io che come sempre devo a mia volta ingigantire e drammatizzare. Sono Leone, abbiate comprensione.
Internet, come sempre, è un luogo terribile e meraviglioso: vette altissime o abissi profondissimi. La pagina Facebook Not Rupi Kaur ha guadagnato, in minor tempo e con decisamente meno sforzo, la stessa visibilità dedicata alla sua fonte di scherno.
La grande semplicità del verso, la struttura melodiosa ma scarna e piuttosto simile a prosa spezzata in punti casuali della poesia di Rupi ha fatto in modo che un po’ tutti ci sentissimo poeti da centomila dollari e best-seller mondiali.
Se lei può dire “sole, cuore e amore” e diventare più famosa di Robert Frost perché io non posso condire con altrettanta poesia “stamane/ho allacciato male/le scarpe/ e dopo/ sono inciampato”? O “a colazione/mangiai due brioches/anziché una/e fui costretto/a casa/dal mal di pancia”? È un dubbio legittimo, ma lascerò queste osservazioni ai poco romantici.
A me Rupi piace, mi piace perdermi nella sua femminilità sensuale ed esasperata, nelle sue lacrime, nei suoi fiori e soprattutto nelle sue storie d’amore fallite.
In quelle, riusciamo a vederci tutti.
Compatirsi, rivedersi, perdere lacrimoni e scrofare gelato credendo di comprendere il segreto della vita è quasi meraviglioso come capirlo davvero.
Buona lettura e ancora auguri, Rupi.
Sveva Di Palma
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