Trans is beautiful e finalmente a carico dello Stato
30 settembre 2020: una data già storica, che porta il peso di un cambiamento radicale nelle vite di oltre 400mila transgender italiani (dati Istat, 2011).
L’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, ha pubblicato lo scorso mercoledì due determinazioni dirigenziali con cui inserisce i farmaci ormonali per i processi di transizione “nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale” (Gazzetta Ufficiale) dopo l’adesione dell’ultima regione contraria, l’Emilia-Romagna.
Arcigay l’ha definita “una rivoluzione”: e davvero, per la portata del cambiamento, le vite finora marginalizzate dei transgender italiani saranno rivoluzionate.
La condizione della disforia di genere, che già intrinsecamente presuppone il malessere causato dall’incongruenza di genere, è stata per anni aggravata dalle numerose difficoltà che ostacolano il processo di transizione: economiche e istituzionali, nonché psicologiche e sociali.
Le difficoltà economiche, nello specifico, comprendono gli elevati costi dei farmaci ormonali – prima e fondamentale tappa per il processo di transizione, spesso erroneamente identificato con la sola operazione chirurgica – ma anche gli ostacoli del mondo del lavoro, da cui l’individuo transgender è spesso escluso.
Secondo lo studio “Essere trans nell’Ue”, pubblicato dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, più di un individuo trans su tre (37%) ha subito discriminazioni mentre cercava lavoro, mentre uno su quattro (23%) ne subisce regolarmente sul posto di lavoro.
Per la somma di questi fattori, la popolazione transessuale europea ha la “tendenza a ricadere nel quartile di reddito più basso con più frequenza rispetto alla popolazione generale”, pur provenendo in uguale misura dalla categoria di persone istruite e da quella di persone poco istruite.
Da quando il MIT, Movimento Italiano Transessuali, ottenne che fosse emanata la famosa legge 164/1982 con cui veniva riconosciuta la transessualità e si consentiva il cambiamento dei dati anagrafici, si è invece discusso poco e male del destino della popolazione transgender.
Ed infatti, gli individui transgender non sempre decidono di sottoporsi alla chirurgia: la maggioranza preferisce modificare solo i caratteri sessuali secondari attraverso le cure farmacologiche – non divenendo, di fatto, transessuali giuridicamente riconosciuti e non avendo accesso al cambiamento dei dati anagrafici.
A tal proposito Arcigay sottolinea: “[le determinazioni dirigenziali] mettono fine a un’epoca di arbitrarietà nella somministrazione di questi farmaci vitali, rinforzando un principio di parità e di rispetto delle persone, che ci auguriamo resti un criterio basilare per il futuro” (La Repubblica).
Naturalmente, non manca chi dissente. Valentina Castaldini, Forza Italia, critica la possibilità di somministrazione anche ai minori: in realtà, il dirigente AIFA sottolinea che l’impiego di farmaci avviene “previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere, formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata” (Gazzetta Ufficiale pag 16 e pag 17).
Non sarà dunque così semplice ottenere i farmaci per le terapie, catalogati come fascia H: il paziente dovrà sottoporsi ad analisi e valutazioni psichiatriche e i farmaci saranno dispensati solo negli ambienti ospedalieri, per evitare che le terapie a base di testosterone siano vendute per le pratiche di doping.
Maria Ascolese
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