Cinema, eros e crossdressing: intervista a Tiziano Mariani
Nasce dalla collaborazione tra il regista Giuseppe Sciarra e l’attore Tiziano Mariani Venere è un ragazzo, un cortometraggio a tematica LGBT (pluripremiato al Quarantena Film Festival organizzato da CineFacts) che si farà sentire ancora per molto tempo.
Secondo il racconto di Tiziano Mariani, l’attore protagonista del corto, l’opera è una sorta di biografia che ripercorre alcuni dei leitmotive più ricorrenti della vita dell’artista: lo sport, l’erotismo e il crossdressing.
L’attore si è raccontato ai nostri microfoni, ecco la sua intervista.
Presentati, chi è Tiziano?
«Tiziano è un bambino (lo sono ancora) che non voleva crescere, ostinato nel ricevere quello che non gli è stato dato. Ribelle soprattutto nell’accettare degli schemi precostituiti. Non a caso il mio romanzo preferito è Il Barone Rampante di Italo Calvino».
Com’è iniziato il tuo cammino nella recitazione?
«Diciamo che sin da piccolo mi piaceva recitare da solo quando non c’era nessuno della mia famiglia in casa. Recitavo davanti allo specchio pezzi di film visti o improvvisavo semplicemente dei personaggi che esistevano nella mia fantasia.
Ero, e lo sono ancora, balbuziente e quando recitavo o cantavo non balbettavo, la maschera mi aiutava ad uscire dalle mie paure e dalla mia dimensione conosciuta e la magia iniziava, e dato che sono stonato ho scelto la recitazione!
A 19 anni ho preso l’iniziativa e ho cominciato a recitare nei teatri Off Romani approcciando la tragedia greca, il teatro dell’assurdo, la commedia di Goldoni ed altri registri di stili di recitazione che mi hanno permesso di ampliare il mio bagaglio culturale e recitativo. Mi sono cimentato in diversi stili teatrali. Verso i 25 anni ho iniziato ad approcciarmi alla tecnica cinematografica con vari corsi e seminari, sono stato anche a Los Angeles per approfondire la tecnica Chubbuck, ma devo dire che grandi insegnamenti li ho ricevuti soprattutto sul campo, lavorando nei vari cortometraggi, lungometraggi, spot e partecipazioni in serie tv che ho fatto in questi anni.
La pratica è fondamentale, sentire le tavole del palcoscenico e il set sotto i propri piedi è vitale e fondamentale per un attore».
Cos’è per te l’arte, qual è il ruolo sociale dell’artista?
«L’arte è il grido dell’umanità in faccia al proprio destino come diceva Albert Camus, è cercare di dare un senso all’inspiegabile, all’ignoto ma anche a ciò che si conosce ma si vuole evitare, come la morte, la sofferenza, la guerra, la malattia. L’artista è colui che dà risposte, belle o brutte che siano devono portare ad un cambiamento sia nell’artista che nel fruitore. In questo periodo molti miei colleghi, come me, hanno estrema difficoltà nel portare avanti la propria carriera e questo deve essere da monito per le istituzioni per far sì che il lavoro dell’attore sia supportato in Italia. In un paese che ha dato i natali alla commedia dell’arte e al melodramma non è possibile che un attore debba fare tre o quattro lavori per mantenersi, è una questione di dignità nazionale, le istituzioni facciano qualcosa ed in fretta, molti artisti stanno rinunciando alla propria vocazione, e un paese senza artisti è un paese senza coscienza collettiva, e senza coscienza collettiva si rischia la deriva senza ritorno».
Porti avanti un messaggio LGBT-friendly e supporti la normalizzazione del crossdressing: come e quando nasce questa tua sensibilità all’argomento e la decisione di portarlo in scena?
«Quando ero piccolo indossavo gli abiti di mia madre. Lo facevo di nascosto, sempre con il terrore di farmi scoprire e di essere punito dai miei genitori. Quegli abiti mi andavano larghi, erano troppo grandi per me ma nel portarli non mi sentivo mai goffo, me li sentivo addosso dentro. Iniziai anche a truccarmi coi rossetti di mia madre, a mettere il suo profumo, a camminare con le sue scarpe coi tacchi, insomma, giocare a essere donna e a pallone diventarono i miei passatempi preferiti.
Poi un giorno mia madre mi scoprì e per assurdo non si arrabbiò, anzi, mi assecondò all’insaputa di mio padre e io non ci potevo credere, da quel giorno questa storia diventò il nostro segreto. Lei mi diceva quando mio padre era fuori e mi comprava gonne da ragazzine, mi truccava e faceva indossare le sue parrucche. Fin quando verso l’adolescenza ho deciso di smettere e di mascolinizzarmi, lo desideravo e pensai che questo aspetto di me con la mia parte più virile non potesse convivere, dovevo soffocarlo e dimenticarmi di quella parentesi.
A me comunque interessavano e interessano le donne, pensavo che una ragazza non avrebbe mai capito il mio amore per i vestiti femminili e decisi anche per questo di smettere.
Verso i diciotto anni, per gioco, indossai per una donna che frequentavo, molto più grande di me, abiti femminili. Ritornai così a voler indossare abiti da donna perché la cosa mi piaceva da matti e piaceva anche a lei. Diventò il nostro gioco, indossavo per lei i suoi vestiti e mi fingevo sua amica e poi facevamo l’amore, fu un periodo molto divertente. Lei poi mi presentò altre sue amiche e per due anni giocai a vestirmi da donna anche con loro. Fin quando mi sono stancato e un po’ per paura di essere giudicato e un po’ perché lo vedevo come il gioco bizzarro di un ragazzino, tagliai i rapporti con tutte loro e non ho più indossato abiti dell’altro sesso per anni. Poi ho conosciuto il regista Giuseppe Sciarra e siamo diventati molto amici. Gli ho raccontato del mio passato come crossdresser e lui mi ha proposto di raccontarlo in un cortometraggio, Venere è un ragazzo. Eravamo entrambi in una fase della nostra vita in cui volevano fare un cinema vero che non si nascondeva in sceneggiature didascaliche che rendevano finti i personaggi. Fu così che ho di nuovo riprovato il piacere di indossare abiti femminili ma non ho più il desiderio di farlo con una partner. Mi piacerebbe piuttosto fare spettacoli da Drag Queen. Con Giuseppe si pensava di realizzare dei video per internet e di fare degli show. Venere è un ragazzo potrebbe essere un trampolino di lancio per questa nuova esperienza attoriale in cui gioco con la mia parte femminile su un palcoscenico».
Hai mai incontrato difficoltà o sei stato testimone di bullismo?
«Ho avuto problemi una sola volta, quando da giovane per gioco e come provocazione andai a passeggio mano nella mano per le strade di Milano con la mia ex. Indossavo una parrucca bionda e un abito un po’ attillato. Dei ragazzi mi insultarono e si avvicinarono perché volevano picchiarmi. Io ho fatto boxe per anni e a uno di loro ho dato un pugno mettendoli in fuga. Un vigile vedendo la scena però ha intimato me e la mia donna di andarcene e mi ha fatto capire che mi ero cercato quella situazione perché provocavo nei passanti ilarità. Se fosse successo adesso lo avrei denunciato. A parte questa situazione surreale e spiacevole non ho mai avuto alcun problema, perché al di là di feste e di qualche locale, non indossavo mai abiti femminili. L’unica volta che l’ho fatto a Milano come ti ho raccontato è successo un macello».
Antonio Alaia
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