Hong Kong e le dimissioni della democrazia
12 novembre 2020.
L’assemblea legislativa di Hong Kong apre con le dimissioni di un terzo dei deputati.
I quindici membri dell’opposizione pro-democrazia lasciano l’aula per protesta in seguito alla richiesta di Pechino di espellere quattro loro colleghi con l’accusa di “minaccia alla sicurezza nazionale”, sulla base di una legge approvata dal governo centrale cinese lo scorso 30 giugno.
La regione del porto profumato, ex colonia britannica, si trova ora senza la sua opposizione del Partito Democratico, mentre da Pechino arrivano ulteriori minacce e accuse.
Cos’è successo? Perché sono stati licenziati i quattro deputati?
Partiamo da una piccola digressione storica.
Hong Kong è stata restituita alla Cina nel 1997, come regione amministrativa speciale e da allora vige il principio di “una Cina due sistemi“, poiché essa possiede un sistema politico diverso dalla Cina continentale. Il funzionamento della magistratura del paese, secondo gli accordi, mantiene ancora il sistema di diritto inglese, il Common law.
Infatti, ancora oggi, l’Hong Kong Basic Law, il documento costitutivo della regione, garantisce una serie di diritti e particolarità non condivisi dall’altra parte della Cina continentale, e la cosa non è stata sempre ben vista dal governo centrale.
Proprio per questo motivo, la decisione presa quasi all’unanimità (il “sì” dell’Assemblea nazionale del Popolo è arrivato con 2.878 voti favorevoli, uno contrario e sei astenuti) di introdurre una legge per la sicurezza nazionale aveva già destato sospetti mesi fa, quando nello scorso giugno Joshua Wong, ex leader di Demosisto, si era dimesso da tale carica affermando che questa era:
“La fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno Stato di polizia segreta”.
E oggi, a distanza di circa quattro mesi dalla vicenda, cominciamo a vedere i primi effetti pratici: quattro deputati del Partito Democratico sono stati allontanati dall’assemblea legislativa di Hong Kong proprio in virtù della nuova legge con l’accusa di essere “non patriottici”.
Questo non sembra far altro che dare nuovi ampi poteri per reprimere il dissenso politico e controllare la regione ribelle, ragion per la quale anche la restante parte dell’opposizione democratica ha deciso di dimettersi.
Queste, le ultime dichiarazioni di Wu Chi-Wai, il presidente del Partito Democratico di Hong Kong.
“Non possiamo più dire al mondo che abbiamo ancora “un paese, due sistemi”. Questo rappresenta la sua morte ufficiale”.
A nulla sono valse le proteste di Hong Kong del 2019-2020, che ad oggi contano 2 uccisi, 1 morto accidentalmente, 9 suicidi, più di 3000 feriti e più di 9000 arresti tra manifestanti e oppositori politici.
Ricordiamo che la nuova legge nazionale prevede pene detentive dai 3 anni all’ergastolo per chi manifesta atteggiamenti sovversivi, anti-patriottici o qualsiasi manifestazione di dissenso al governo centrale e al Partito. Motivo per il quale, la sola appartenenza a partiti d’opposizione democratici costituisce una spada di Damocle sulla testa di tutti i democratici attivi sul territorio cinese, e le espulsioni di Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Leung ne sono la prova evidente.
Antonio Alaia
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