Il coprifuoco: vecchio rimedio della nonna
Trascorrono anni, secoli, eppure la risposta dell’uomo alle epidemie resta sempre la stessa: dal coprifuoco al lockdown passando per il distanziamento sociale.
Se un uomo dal Medioevo (più precisamente dal lieto biennio 1348-1349) si ritrovasse nel nostro presente, non dovrebbe sforzarsi troppo per abituarsi alla nostra routine.
Sono ormai molte e sempre più numerose le limitazioni che il Governo ha imposto nella penisola per arginare il virus.
La vera notizia, con cui stiamo facendo i conti, è che non esiste un rimedio futuristico a questa piaga.
Al di là degli innumerevoli tentativi a livello mondiale di preparare un vaccino in tempi record e tralasciando gli annunci farlocchi del buon Trump (come l’intuizione di iniettarsi disinfettante) la comunità scientifica procede a tentoni. Le varie organizzazioni di categoria, a partire dall’OMS, ci suggeriscono le armi consuete: lavarsi spesso le mani, mantenere almeno un metro di distanza, indossare indumenti che coprano la bocca e il naso, pulire con soluzioni alcoliche le superfici.
Non stiamo scoprendo nulla di nuovo, questi metodi di prevenzione erano noti già ai nostri trisavoli.
Il lockdown di marzo non è stato altro che un remake di altre esperienze simili nella storia umana.
La domanda ora è: data la ripresa dei contagi e la tremenda esperienza accumulata, come ci stiamo muovendo in Italia?
Di certo non in maniera così diversa rispetto al resto d’Europa. Anzi per i numeri sì alti, ma non al livello di molti altri paesi – ci siamo permessi delle misure relativamente più leggere.
La parola tabù resta “lockdown”. Se fino a un paio di mesi fa, quando la bestia sembrava mansueta, vedevamo lontana la possibilità di un ritorno alla chiusura totale, adesso la minaccia si sta facendo incombente.
Il nuovo dpcm ragiona su tre livelli: le regioni vengono suddivise in gialle, arancioni e rosse in base alla gravità sanitaria. I confini regionali sono chiusi e all’interno delle singole circoscrizioni territoriali si possono stabilire lockdown locali laddove la situazione lo richieda.
Alcuni Presidenti regionali, come De Luca che fino a due settimane fa paventava il lockdown regionale, ora chiedono misure estese sul territorio nazionale; ma giustamente gli altri Presidenti delle regioni meno colpite come Zaia in Veneto ritengono controproducente un provvedimento simile. E infatti, il Governo si è mosso in un’ottica differenziale.
Tutt’altro che una scelta scellerata: abbiamo constatato, tra scioperi e manifestazioni varie, che l’Italia non riuscirebbe a reggere economicamente e psicologicamente un altro stallo totale. Ci si sta muovendo in ogni modo per evitare questa estrema soluzione.
La via di mezzo a cui si sta ricorrendo maggiormente è il coprifuoco. Se in un primo momento, questo era previsto solo in Lombardia e in Campania a partire dalle ore 23 fino alle 5 di mattina, Conte con il nuovo decreto ha esteso il provvedimento a tutto lo stivale, anticipando di un’ora.
Non vi azzardate a mettere piede fuori di casa dalle 22 in poi, salvo per motivi di lavoro, salute e necessità.
Vi siete mai chiesti da dove nasca l’usanza del coprifuoco?
Non si tratta di un caso di falsa etimologia: tale abitudine deriverebbe il nome dal fatto che, nel Medioevo, gli abitanti delle città coprivano fuochi, lumi e lanterne dopo una certa ora, allo scopo di evitare enormi e devastanti incendi. Sembra addirittura che Londra sia stata rasa al suolo dalle fiamme nel 1666.
E quindi, data la scarsa se non azzerata visibilità (ricordiamo che non esisteva ancora l’elettricità) la circolazione di uomini e donne era ridotta al minimo in quegli orari.
Ed ecco che oggi una pratica antica di centinaia di anni ritorna utile in tempi moderni.
Perché il coprifuoco?
L’intenzione è quella di limitare gli spostamenti e gli assembramenti notturni non essenziali.
Considerando l’andazzo chissà come andrà a finire: se le lancette del coprifuoco saranno spostate in avanti o se si rivelerà inefficace. Fatto sta che soprattutto in alcune zone non è la soluzione risolutiva.
Gli effetti li potremo valutare solo tra qualche settimana.
La nostra disamina storica del coprifuoco non è finita.
In Italia un blackout orario di questo genere era stato imposto nel 1943. Dopo la caduta del fascismo e durante i 45 giorni sotto la guida di Badoglio furono regolate le uscite e la libera deambulazione della popolazione.
La prima ordinanza prevedeva uno stop dalle 22.30 alle 5, poi leggermente ammorbidito visto il buon comportamento degli italiani.
Allora come oggi, non mancarono le occasioni di rivolta ai pubblici ufficiali incaricati di far rispettare la legge. Se nella nostra epoca le pene previste per tali infrazioni sono fondamentalmente di natura economica, inutile dire che ai tempi la punizione era ben più sanguinosa.
Per noi il coprifuoco è una delibera estrema per scongiurare il naufragio del quadro sanitario, ma nel corso della storia molti regimi e dittature se ne sono serviti per diminuire il numero di ribelli e sovversivi nelle strade. Affianco ai comandi di divieto di associazione e riunione, spesso si è fatto ricorso proprio al coprifuoco.
Pensiamo all’uso che ne fece Pinochet in Cile a più riprese tra 1973 e 1990.
E fu neanche l’ultimo caso di applicazione di una simile disciplina in quella zona del mondo: l’anno scorso, durante degli scontri causati dai prezzi per i trasporti pubblici, l’esercito cileno aveva proclamato un coprifuoco durissimo tra le 21 e le 7 del mattino, con controlli e violenze inaudite per le strade della capitale.
Forse è proprio per i ricorsi non sempre positivi a questa pratica che siamo portati a vederla di cattivo occhio.
Aggrappandoci alle ultime speranze, ci auguriamo che queste misure, ora come ora male minore, possano scongiurare un altro insopportabile lockdown e la perdita di altre preziose vite umane.
Giusy D’Elia
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