Tommaso Zijno: formazione da storico dell’arte, vision da marketer
Con l’arte si lavora?
O vale il famoso proverbio “prendi l’arte e mettila da parte”?
Oggi con Tommaso Zijno affrontiamo proprio questa spinosa questione, cercando delle risposte da chi dell’arte ne ha fatto un mestiere e un modo di vedere il mondo.
Ciao Tommaso! Prima di tutto ti ringrazio per aver accettato di fare questa chiacchierata con noi de La Testata – Testa L’Informazione.
«Figurati, è un piacere!»
Direi di aprire quest’intervista con una tua breve biografia, per conoscerci meglio.
«Allora, io ho trenun anni e sono nato a Roma.
Ho conseguito una laurea in Scienze storico-artistiche alla Sapienza e da diversi anni lavoro come curatore freelancer, social media manager e copywriter.
Ultimamente ho iniziato a ricoprire il ruolo di social media manager anche con Jago che conosco da diverso tempo perché nel 2016 ho curato la sua prima mostra personale a Roma all’interno della Cripta della Basilica dei Santi XII Apostoli, vicino Piazza Venezia, la mostra si intitolava Memorie.
In quel caso ho ricoperto il ruolo di curatore, ma da qualche anno per Jago mi occupo di project management, quindi della gestione dei progetti e della comunicazione online e offline.»
Domanda un po’ off topic, ma simpatica. Zijno è il tuo vero cognome o “nome d’arte”?
«Sì sì, è il vero cognome e anche se c’è la j e potrebbe sembrare un cognome di origine straniera, è invece un cognome italiano: sono romano con origini siciliane».
Ho letto una tua bio che mi ha incuriosita: “formazione da storico dell’arte, vision da marketer”.
Ce la spieghi meglio?
«È proprio quello che ti stavo dicendo prima, io ho una formazione da storico dell’arte, sono sempre stato un appassionato d’arte in particolare di quella contemporanea. Infatti poi ho lavorato come curatore, exhibition manager; ho lavorato per gallerie, per musei, per artisti.
A questo poi si è aggiunta una mia propensione per il digital marketing, quindi di comunicazione online improntata ad una vendita di quello che è un prodotto culturale.
Quindi se all’inizio ero affascinato magari dalla progettualità e magari da un discorso più che altro ideale, poi ho capito che l’arte è anche economia. Così, ho fatto corsi, ho cominciato a lavorare nel campo del digital marketing in altri settori per poi matchare le due cose attraverso il lavoro che faccio con Jago».
Tommaso Zijno con Maria Teresa Benedetti, storica dell’arte
Quindi immagino che posso chiederti quale sia la forma d’arte che va per la maggiore negli ultimi anni. Cosa piace alla gente, al pubblico?
«Questa è una domanda molto interessante perché sostanzialmente il pubblico non è generalizzabile, ci sono varie fasce di pubblico che nel marketing si dividono in target differenziati, diciamo che un pubblico generalista è affezionato a delle opere sincere, che trasmettano sincerità e che non siano dei prodotti commerciali.
Ciò si trasmette molto attraverso i social, ma in tutti i campi.
C’è poi un ritorno all’arte figurativa perché è quella più diretta e semplice e sui social va per la maggiore.
Ovviamente ci sono sempre le eccezioni e bisogna differenziare i target soprattutto in base agli interessi e all’età.
Quando ti parlo di sincerità ti posso fare l’esempio di Jago.
Jago piace tanto perché è sincero con le opere che realizza, non nascono come un prodotto commerciali, anzi, c’è un pensiero forte dietro ogni opera. Tanto che non serve una spiegazione dell’artista che è dietro l’opera ma, come dice Jago, ognuno di noi deve trovare il significato».
Adesso ti faccio una domanda che per chi lavora nel settore dev’essere personalissima, suppongo. In realtà sono più domande in una.
Vorrei sapere qual è la tua forma d’arte preferita, visto che ne stavamo parlando, e poi se puoi indicarmi un artista del passato che prediligi e uno, invece, che non ti è mai piaciuto molto o trovi sopravvalutato.
Sperando di non offendere nessun artista dei secoli addietro.
«Una domanda interessante e difficile che mi sono fatto personalmente varie volte. Per quanto riguarda la forma d’arte preferita metto alla pari la pittura e la scultura.
Sono innamorato di William Turner, ma potrei elencare una lunga lista. Non amo molto lo stile di scultura di Canova, sono più dal lato di Bernini. Canova dal punto di vista tecnico è formidabile, ma non mi esprime le stesse cose che mi esprimono Bernini o Michelangelo.
Il mio movimento preferito è il Surrealismo, quindi ad esempio Max Ernst e René Magritte sono artisti che ho sempre amato».
Va bene, sperando che Canova ti perdoni, ci elenchi invece degli artisti contemporanei che vale la pena seguire e che potrebbero piacere ai nostri lettori?
«Sì, spero che Canova mi perdoni anche perché ci sono alcune opere che mi piacciono molto, ma istintivamente lo confermo.
Per quanto riguarda gli artisti contemporanei che vale la pena seguire ci sono tanti artisti emergenti che meriterebbero più visibilità, mi viene in mente nell’ambito della pittura Andrea Fontanari che è un giovanissimo artista del Trentino Alto Adige. Ha una grande pittura e sta facendo molta strada. Poi ovviamente Jago, ma ci sono molti artisti che con una maggiore comunicazione potrebbero raggiungere una grande fetta di pubblico.
A Roma, per esempio, collaboro con Alessandro Calizza, pittore anche lui; Cristiano Carotti, pittore ma anche scultore; ho lavorato con Desiderio, un altro pittore incredibile. Fare una lista è complicato, ma ci sono molti artisti emergenti validi».
Spesso sentiamo la frase “con l’arte non si mangia”.
Cosa consigli a chi sogna un futuro nel mondo dell’arte ma magari ha paura della crisi e/o di non trovare lavoro in questo ambito?
«Questa famosa frase di Tremonti immagino che ci perseguiterà per sempre!
Ci sono tante possibilità in realtà, ma è un mondo sicuramente complicato, dove un lavoro bisogna crearlo e bisogna impegnarsi anche mentre si studia.
Io ad esempio ho iniziato a lavorare mentre studiavo come giornalista e fondando una testata con miei altri colleghi a ventun anni. Quindi io consiglio di mettersi subito all’opera, di non aspettare di avere una formazione di alto livello ma di sporcarsi subito le mani.
Potrebbe essere un’ottima idea mettersi a scrivere per riviste come Art Tribune o Exibart che accettano contributor, quindi persone che scrivono a titolo gratuito.
Oppure vedere se c’è la possibilità di curare esposizioni di artisti emergenti ed accessibili.
Bisogna avere una certa dose di intraprendenza».
Quindi Tommaso, alla luce di quanto ci hai appena detto, ultima domanda secca e voglio una risposta secca: si lavora con l’arte?
«Sì, con l’impegno, si lavora con l’arte».
Catia Bufano
Vedi anche: “Il figlio velato” di Jago illumina la Sanità di bellezza