Due volti, un’anima: El KiM racconta l’arte drag queen
Il mondo drag mi ha sempre fortemente affascinata, forse per la sua natura così poliedrica, che abbraccia al contempo interpretazione, musica, danza e moda. Ma ho sempre saputo che ci fosse di più.
La drag non è semplice intrattenimento: è la trasmissione di un concetto attraverso la sua spettacolarizzazione. È voler istruire, sedurre, nell’accezione latina del termine, a sé ducere: la drag, con la tipica pazienza di una madre e la sua innegabile sensualità femminea, crea un magnetismo in grado di condurre l’attenzione della società su di sé, con lo scopo di diffondere un messaggio di positività e di accettazione universale.
A questo proposito oggi vi parlo di Vincenzo Cremato, in arte El KiM, una grande icona (nonché fidato amico) della scena drag napoletana che ci condurrà per mano alla scoperta del suo coloratissimo mondo che, infine, è anche il nostro.
Come nasce El KiM? Per gioco, o con l’intenzione di farla diventare ciò che è oggi? Perché si chiama così?
«El KiM nacque grazie ad un progetto ideato dal mio primo maestro di danza moderna: creò un gruppo di ballerine on heels, sui tacchi, e ad ognuna aveva assegnato un nome in base alla personalità. Io, l’unico ragazzo del gruppo, venni selezionato come leader: KiM, in coreano, significa capo, ma c’è di più.
Si tratta dell’abbreviazione di due nomi, uno maschile ed un altro femminile: si tratta di un nome senza genere specifico, e quindi fortemente emblematico. Inoltre, il mio nome, in arabo, assume anche la connotazione di “valore”. Purtroppo questo progetto non andò in porto, non ricordo neanche il perché: ci rimasi male, perché l’iniziativa mi sembrava veramente interessante. Circa cinque o sei anni fa iniziai a lavorare nelle discoteche come ballerino: ispirandomi al lavoro fatto a scuola, montavo delle coreografie on heels, sceglievo look stravaganti, immedesimandomi in personaggi femminili: Lady Gaga, Beyoncé, Madonna, Rihanna. Sulle prime mi trattenevo molto sulla scelta del trucco e parrucco, perché avvertivo il peso della paura del giudizio, delle discriminazioni che spesso mi colpivano, soprattutto da parte di persone che non conoscevo. La cosa, comunque sia, mi riusciva bene: al pubblico piaceva questa versione di Enzo, talmente tanto che tre anni fa uno degli organizzatori delle serate LGBTQI+ de La Mamada, un locale di Napoli, mi suggerì di mettere in scena il mio alter ego, iniziandomi all’arte drag. Era il dicembre del 2017: per la prima volta mi sentii forte, più forte che mai, perché finalmente sentivo un appoggio, l’approvazione di chi mi stava vicino. El KiM debuttò all’evento di Natale all’Accademia, famosa discoteca campana, e riscosse, con mia grande sorpresa, un gran successo. El KiM è sbocciata così: non per gioco, ma per lavoro, con lo scopo di trasmettere al pubblico dei messaggi chiari, forti ed attuali: siate “il capo” di voi stessi, datevi tanto valore, non permettete a nessuno di sottovalutarvi e di impedirvi di essere.»
Quanto tempo ci metti a prepararti per uno spettacolo?
«Chiaramente i preparativi iniziano molto tempo prima, in base al genere di evento: in genere, per i concorsi inizio a progettare due mesi prima. Per le serate, invece, riuscivo a gestire il tutto in una decina di giorni. Make up e outfit vengono ovviamente scelti in base al tema della serata. Per quanto riguarda i concorsi il tema a volte è libero, altre è prestabilito: una volta, per esempio, per una sfilata a tema “i quattro elementi”, a me venne assegnata la terra, e decorai il costume con foglie vere. In un’altra occasione, invece, una serata dedicata alla prevenzione dell’HIV, tutti i partecipanti vestirono di rosso. Cucio tutto a mano: potrebbe essere quasi un motivo di vanto, la verità è che non so usare la macchina per cucire. Le musiche e le coreografie vengono scelte e montate da me, ci tengo ad avere il controllo e curare il dettaglio di ogni aspetto dell’esibizione.»
Com’è l’ambiente dietro il palco? Come lo vivi?
«Dietro il palco la prima cosa che avverti è l’ansia: temi di non riuscire in alcuni passaggi, come il cambio abito in scena, o di non riuscire ad eseguire la coreografia correttamente. Una peculiarità del mio personaggio è proprio questo, il cambio abito in corso d’opera: mi piace creare suspense, incuriosire e stupire il pubblico improvvisamente. C’è da dire che non sono quasi mai solo dietro le quinte: oltre ai ballerini che mi accompagnano ho sempre bisogno di un assistente che mi aiuti con i costumi, ragion per cui il mio compagno mi segue spesso. L’ansia da prestazione, molto spesso, mi rende intrattabile: capita che io possa rispondere male a chiunque, che diventi nevrotica (sì, nevrotica). Nel momento in cui metto il tacco 18 sul palco, abbandono le paure di Enzo ed accolgo l’adrenalina e l’entusiasmo di El KiM.»
Che rapporto hai con le altre drag, in genere?
«Tra colleghe c’è molta invidia, purtroppo. Vorrei tanto che le cose cambiassero, che ci fosse più sostegno tra noi. Va detto, però, che con le nuove leve si instaura un rapporto molto particolare: molte neo-drag selezionano una madre, un mentore, una mama queen di maggiore esperienza che possa guidarle nel loro debutto, che possa aiutarle a trovare una propria identità, un tratto distintivo. Al momento seguo quattro drag: Miss Angel, Andromeda, Evelyn ed un’ultima che debutterà a breve. È in assoluto uno degli aspetti più belli del rapporto tra drag queen: ci si aiuta per sbocciare. Io cerco di trasmettere dei personaggi positivi al pubblico, ed è questo che ho sempre suggerito alle mie allieve: comunicate, trasmettete, emozionate.»
Mi parli dell’orientamento sessuale delle drag queen? Te lo chiedo perché sono venuta a conoscenza del fatto che una piccola parte sia etero.
«Potrei dire che il 99% della comunità è omosessuale, ma sì, ci sono anche membri etero: spesso, però, si tratta di comparse occasionali. Il mondo drag oggi si è evoluto, è riuscito ad abbattere diversi pregiudizi, sempre più persone vi si affacciano con uno spirito di curiosità nuovo, lontano dalla voglia di giudicare e sentenziare. Una dimostrazione ne è il fatto che molti make up artist realizzano dei look ispirati al mondo drag.»
A quale pubblico è adatto uno spettacolo di drag queen?
«Direi che il pubblico adatto non esiste. Siamo tante, ognuna ha il suo stile, e molto spesso la scelta dei pezzi e degli outfit viene fatta in base al tipo di serata. Se ci si interfaccia con un pubblico di soli adulti, come per esempio in discoteca, si può osare di più. Ad una festa privata, come un compleanno od un matrimonio, ci si contiene. Tutto viene interpretato in chiave ironica, si è meno espliciti. Quando lavoravo come animatore ad Agropoli, per esempio, mi capitò di esibirmi davanti a tante famiglie con bambini: con grande sorpresa venni amato dal pubblico, dal più piccolo alle nonne. Per me e per la comunità non è cosa da poco: l’arte drag viene spesso associata a qualcosa di perverso, fuori luogo, categoricamente fuori la portata di un bambino. Ma detto tra noi, l’occhio infantile non ci vede con tutta questa malizia – ammesso e concesso che lo spettacolo lo permetta. Questo filtro, molto spesso, si trova nell’occhio di chi ci guarda. »
Cosa significa per te essere una drag?
«L’essere drag, per come la vedo io, ha il ruolo primario di trasmettere dei messaggi. La drag è un’artista eclettica, dalle mille sfaccettature, che attraverso il make up, l’outfit, la danza e l’interpretazione esprime sé stessa e le sue idee. Per me essere dragè costruirsi un’identità diversa da Enzo, ma che resta parte di Enzo. Io non mi sono mai sentito una donna: in quanto artista io interpreto un personaggio, attorno al quale ruotano tutti gli elementi dello show, dal passo di danza al pezzo da interpretare in lip-sync, sempre sulla base di un tema che possa risvegliare qualche coscienza un po’ troppo intorpidita. Il pubblico non va messo in imbarazzo, ma guidato per mano, con pazienza ed attenzione: è un percorso di educazione lento che opera attraverso l’intrattenimento. Spesso mi capita di essere contattato in privato da chi ha assistito ad un mio spettacolo: mi vengono chiesi consigli su come gestire una determinata situazione privata, spesso legata proprio alla sfera emotiva, all’identità, alla famiglia. Poter aiutare a far uscire chi, come ho fatto io per tanto tempo, ha paura di far sentire la propria voce e di manifestare il proprio io, mi rende immensamente felice.»
Cosa ti ha insegnato El KiM?
«Mi ha insegnato ad essere più coraggioso, più forte, più combattivo, ma soprattutto ancora più me stesso. Fortunatamente sono sempre stato noncurante dei giudizi altrui: non mi è mai importato di essere additato, giudicato, e l’essere diventata drag ha sottolineato ancora di più la mia fierezza. C’è stato anche un periodo in cui non riuscivo a distinguere Enzo ed El KiM: col tempo ho imparato a distinguerli, perché va fatto, e tanti tratti positivi della seconda hanno smussato i difetti del primo, rafforzandolo ancora di più. La mia sicurezza e la mia positività sono stati avvertiti anche all’esterno: voglio che siano contagiose, il più possibile.»
Come ha reagito la tua famiglia?
«Devo ammetterlo, la mia famiglia ha reagito molto bene. Mia madre mi ha sempre supportato tantissimo, arrivando addirittura a seguirmi in discoteca e ai concorsi, per sostenermi ed incoraggiarmi. Oltre a mia madre ed i miei fratelli, anche mia nonna è estremamente contenta di ciò che faccio: mi chiede spesso di mostrarle delle foto e dei video delle mie esibizioni, le guarda fiera come se fosse la recita della fine delle elementari. Mio nonno, dopo un primo momento di, ha imparato ad accettare ed addirittura a commuoversi per i miei successi. Mi rendo conto che non è facile per una persona anziana, eppure, per amor mio, ci sono riusciti. Il beneplacito della mia famiglia ha senz’altro influito positivamente su di me: mi ha offerto supporto, io ho offerto loro una nuova prospettiva del mondo. C’è stato uno scambio che ha senz’altro arricchito entrambi, e mi rendo anche conto che tanti non hanno la stessa fortuna. Molto spesso mi è capitato di essere discriminato dall’esterno: molti ricollegano le drag a qualcosa di malato, di inesorabilmente legato alla sessualità, fino ad essere considerate parti attive del mondo della prostituzione. Sulle prime, lo ammetto, reagivo molto male. Con il tempo ho acquisito una razionalità tale da permettermi di affrontare in maniera più fredda e ponderata l’argomento. Il mio attuale compagno, Pasquale, aveva una visione un po’ contorta della: ci abbiamo lavorato molto, le cose sono decisamente cambiate.»
Cosa diresti a chi vuole affacciarsi al mondo drag per la prima volta?
«Incoraggio tutti a cercare una propria impronta, una personalità forte, ben definita. Il mio incoraggiamento alla ricerca instancabile dell’identità non vuole proiettarsi solo nell’universo drag, ma vuole soprattutto essere di incoraggiamento per chi cerca la propria strada anche nella vita di tutti i giorni, per chi non si riconosce nel riflesso che vede allo specchio: tanti cercano di capirsi e di farsi capire, di comunicare col mondo, ma vengono inibiti dalla paura. Vorrei tanto che anche le vecchie generazioni, come la mia famiglia, si incuriosissero al mio mondo: sarebbe molto più facile per tanti che, giorno per giorno, muoiono dentro, si adattano ad una pelle ed una strada che non sentono propri, nel terrore di dover deludere i propri cari. Io da bambino usavo le mollette per il bucato e le lenzuola, e immaginavo di indossare enormi abiti dallo strascico lunghissimo, come quelli che indosso oggi: il corridoio di casa era il mio palcoscenico. Ed è su questo aspetto in particolare che voglio battermi con tutto me stesso, in particolare con i genitori: non reprimete i vostri bambini. Lasciateli liberi di essere, sebbene trovino più comoda una gonna. Fin da piccolo ho espresso la mia inclinazione per l’interpretazione, senza preoccuparmi troppo dei confini ben distinti tra uomo e donna imposti dalla società.»
Sei stato notato da molti al Gay Pride di Napoli 2020! Raccontami di quest’ultima esperienza.
«Sì, ho marciato assieme a tanti in occasione del Gay Pride della mia città. Inutile dirti che mi sono sempre battuto, e sempre lo farò, a favore della comunità LGBTQI+. Noi drag queen ci poniamo spesso come i portavoce dell’orgoglio gay, lesbo, trans: supportiamo qualsivoglia tipo di diversità, non solamente quella legata all’orientamento sessuale o al genere. Abbracciamo la causa di tanti altri generi di diversità – che fondamentalmente, diversità non sono –, da quella etnica a quella religiosa: vogliamo che il mondo non interpreti la diversità superficiale come parametro di differenziazione sociale, ma come tratto distintivo che renda ognuno unico nel suo genere. Io ho preso parte al Gay Pride per supportare la causa mia e di tanti: molte colleghe del mondo drag, c’è da dire, si sono tirate indietro perché, in quanto manifestazione pubblica, non vi era retribuzione. È davvero stupido: una voce in più sarebbe stata solo un vantaggio per tutti. Io e Bellatrix, una mia amica e collega drag, abbiamo montato una coreografia sul brano Stupid Love di Lady Gaga alla portata di tutti, perché nessuno potesse sentirsi in imbarazzo nel prendere parte al flash mob. Ci hanno seguiti in tantissimi: ancora adesso ne parlo, come puoi ben vedere, con la voce rotta e gli occhi lucidi. È stata una delle esperienze più emozionanti della mia carriera: ho sentito la vicinanza di tutti, ho creduto concretamente che la società potesse cambiare. E può farlo. Non ci ho guadagnato economicamente, ma mi sono arricchito, immensamente, sotto tanti altri punti di vista. Eravamo tuttiaccomunati dallo stesso scopo: diffondere l’amore per l’amore, in tutte le sue forme. Ogni singolo essere umano è in grado di arricchire ed insegnare qualcosa all’altro: è questo il fine ultimo della vita di ognuno.»
Giovanna Alaia
Immagine: fotografia di Angelo Forino