La certezza dei sogni: storia di un miracolo imprenditoriale al Rione Sanità
In anteprima assoluta su MYmovies, presentato fuori concorso alla 38esima edizione del Torino Film Festival, il docufilm di Massimo Ferrari, scritto a quattro mani con Conchita Sannino, è un toccante tributo a quel ventre di Napoli dimenticato dalla storia e oggi risorto dalle ceneri grazie all’imprenditoria solidale di Padre Antonio Loffredo.
“Ciao babbo, avresti mai immaginato di ricevere una lettera da me?”. Così esordisce la voce narrante di questa dichiarazione d’amore lunga cinquantasette minuti, sulle note di Enzo Foniciello e l’affresco di quel presepe vivente che è Partenope a fare da sfondo.
È Antonio Loffredo, uomo coraggioso e primogenito di un imprenditore napoletano, che ha preferito “la tunica al doppio petto” per farsi mecenate di una terra dolorante attraverso un’economia etica e generativa. Parroco della Basilica di Santa Maria alla Sanità e direttore del sito archeologico delle Catacombe, ci dimostra come “ci siano tanti modi di fare il prete”: il suo è strappare i giovani del quartiere da monelleria e pigrizia attraverso arte, sport, cultura e lavoro, grazie alla contagiosità di un’audacia imprenditoriale scritta nei geni.
Nella possente vitalità di quei «vic’ stritt’», tra sepolcri scolpiti e tortuose scale che sembrano voler risucchiare i passanti nelle viscere del pianeta, quest’uomo generoso ha avuto la lungimiranza di tirare un’intera comunità fuori da un buco nero edilizio che si pensava fosse irrecuperabile.
È riuscito a regalare un nuovo paio d’occhi alla progenie del ghetto, grazie ad un lavoro sinergico di imprese, fondazioni, professionisti e, non per ultimi, artisti. Ma ripercorriamo dalle origini le tappe di questa miracolosa parabola di speranza e riscatto.
È il 2007 e la Sanità è enclave di una faida criminale così sedimentata da normalizzare persino una stesa in pieno giorno ai Vergini. In questi anni l’esasperante lotta tra i clan Della Corte e Lo Russo è arrivata a colpire al cuore del quartiere fino a cinque volte in due settimane, con violente sparatorie che hanno lasciato una scia di sangue densissima.
Dopo lo svaligiatore di banche ucciso con un colpo alla nuca nel maggio 2009, è la volta di Genny Cesarano, il sedicenne travolto da una raffica di proiettili vaganti nel settembre del 2015, l’ennesimo martire di una guerriglia camorristica che ha coagulato la disperazione di tutte le madri affrante, scese in piazza a piangere quella creatura innocente.
“Veder morire un figlio così è insopportabile. Non deve accadere mai più!” grida una donna in lacrime, e sulla sua scia altri hanno colto l’occasione per levare un disperato grido di rivolta, una voce dal vico che parlasse per quella fetta onesta e per bene che abita un ventre palpitante di chiasso e malavita. Da questa tragedia la spinta straziata ed energica per una svolta.
Oggi quei giorni pesti sembrano una parentesi cupa lontana anni luce. “Simm’ una cosa sola, lo pensano pure ‘e creature”, dicono fieramente alcuni ragazzi del quartiere. Le dinamiche rivali tra il gruppo delle Fontanelle, quello della Sanità e di San Severo sembrano essersi rimarginate miracolosamente nel tempo grazie a Padre Antonio, che “ha tirato fuori il meglio da ognuno di noi”, senza secondi fini o scopi di lucro.
Ma soprattutto ci aveva visto lungo Ernesto Albanese, il manager de L’Altra Napoli che, dopo la traumatica morte del padre – durante una rapina nel centro storico di Napoli – ha letteralmente messo in moto il “Miracolo Sanità”. Non rassegnandosi infatti all’archiviazione del caso da parte della polizia giudiziaria e deciso ad intervenire concretamente sul territorio, ha consultato esperti del settore e ha scommesso su questa rivoluzione solidale con Padre Antonio, contagiato dalla sua visionaria passione civile.
In tempi record ha raccolto 1 milione e 800.000 euro dalla fondazione Bill Clinton di New York e ne ha raccolti altri sette nei successivi quindici anni, grazie al supporto della Curia del cardinale Sepe e della Fondazione Con il Sud di Carlo Borgomeo.
Oggi questa rinascita ce la racconta Miriam, 27 anni, attrice e guida turistica della Cooperativa Sociale La Paranza (fondata dal parroco), che ha studiato lo spagnolo e l’inglese per raccontare ad una platea internazionale cosa succede sotto l’ala di quel gigantesco ponte dove è nata, che “separa la città che cresce da quella che soffre”.
Studiare e tramandare la genesi di quel famoso affresco nelle Catacombe di San Gaudioso (un’allegoria della morte che avrebbe ispirato il principe Antonio De Curtis a scrivere ‘A livella) ha portato una luce nuova al suo presente e al luogo dov’è nata, in cui, all’improvviso, hanno iniziato a passeggiare i turisti come fedeli pellegrini venuti da terre lontane.
Poi c’è il corso di pugilato, il laboratorio di teatro che allestisce performance in costume d’epoca sull’altare della parrocchia e l’orchestra Sanitansamble, a cui l’ambasciata tedesca ha commissionato la registrazione degli inni europeo, italiano e tedesco per un concerto nazionale.
E ancora: l’A.S.D Sanità United, squadra di calcetto che si è guadagnata la vittoria del campionato amatoriale a suon di “Siamo figli del quartiere, siamo figli di Totò”, una polisportiva in allestimento per le battaglie domenicali di basket, rugby e calcio e, ultima ma non per importanza, la riapertura della Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, diventata laboratorio creativo per l’artista Jago.
Qui lo scultore di Frosinone si starebbe dedicando alla sua prossima creatura, “un monumento per far crescere il capitale umano, perché le persone più che essere convinte devono essere commosse dalla carica folgorante dell’arte”, spiega.
Il suo splendido Figlio Velato, esposto nella Basilica di San Severo fuori le mura nel dicembre 2019, è stato, infatti, solo un pezzo del più ampio progetto di riqualificazione artistica del quartiere, ideato da Sylvain Bellenger, direttore del museo di Capodimonte. Obiettivo del social artist: rilanciare con la bellezza il potenziale di questo luogo abbandonato inspiegabilmente per così tanto tempo, intercettando sia la comunità locale che un bacino di visitatori dal respiro internazionale.
“È il seme del dolore convertito in opera di grande generosità”, afferma Ernesto Albanese, in una terra sofferente ma dall’anima carnale e ricolma d’amore, in cui si è addirittura pensato ad un “carrello sospeso” come messaggio d’amore per chi durante il lockdown non riusciva a mettere il piatto a tavola.
Sì, perché qui, come ha scritto Don Giuseppe Rassello, “la gente, bellissima e proterva, ti discopre inattese tenerezze (…) senza retorici irredentismi. Senza il bla-bla pauperistico di vecchi e nuovi socialismi. Qui è davvero Napoli, tremendum fascinans. Vengono i momenti in cui ne scapperesti via, ma una sottile malia ti trattiene, affatturato”.
Francesca Eboli
Vedi anche: “Il figlio velato” di Jago illumina la Sanità di bellezza