L’art pour l’art: l’invisibile dell’astrattismo
La crisi dell’arte nell’Ottocento, il Cubismo, il Capitalismo, l’ateismo, la società Teosofica sono il presupposto di una nuova corrente artistica: l’arte astratta.
Il Novecento è l’epoca dell’avanguardia che annuncia una nuova terza età che grida a squarciagola: l’infinito è dentro di noi.
In tutta Europa, a partire già della Rivoluzione Francese, i valori culturali e sociali vengono continuamente messi in dubbio dall’insorgere di nuove scoperte.
L’osservazione del mondo circostante attraverso l’affermazione della scienza ribalta il punto di vista religioso, fino a quel momento prevalente. Si afferma il concetto per cui l’uomo non è più mero schiavo di Dio ma è dotato di ragione. Dio è dentro di noi, l’uomo è sintesi di finito e infinito. È il 1807 e Georg Wilhelm Friedrich Hegel pubblica la “Fenomenologia dello Spirito”, il manifesto dell’uomo moderno, che influenzerà in maniera vigorosa il pensiero del Novecento in campo sociale, politico, economico a artistico.
Ed è proprio al concetto di ragione a cui l’uomo si aggrappa saldamente, razionalizzando il mondo circostante tanto da poter affermare il suo dominio sulla natura. L’uomo moderno, piantato con entrambi i piedi per terra, scopre l’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate: i combustibili fossili.
Il capitalismo è alle porte.
Uomo 1 Natura 0.
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, siamo in piena industrializzazione, “grazie” alla scoperta del petrolio, motivo per cui gli stati europei si lanciano nell’impresa di colonizzazione dei paesi africani e asiatici. Nel frattempo in Germania Friedrich Nietzsche, anch’esso figlio dell’illuminismo e di Hegel, afferma:
“Gli individui più forti saranno quelli che si oppongono alle leggi della specie e, nel far così, non periscono, ovvero i singoli. La schiavitù è necessaria per la formazione di un organismo superiore, del pari le caste”.
Ed è proprio questo il contesto storico in cui si realizza l’arte astratta. Ma cosa c’entra tutto questo con l’arte?
C’entra perché già a partire dal 1820 durante le lezioni di Estetica tenute da Hegel a Berlino, secondo il filosofo l’arte volgeva al suo tramonto.
Un superamento necessario, dato che il dominio dell’arte fino a quel momento era nelle mani della Chiesa.
Tutte le opere d’arte prima dell’epoca moderna hanno come oggetto Dio, o comunque raffigurazioni di un mondo strettamente religioso.
Ora il cristianesimo non è più in grado di generare manifestazioni artistiche degne di rilievo.
L’idea hegeliana per cui l’infinito è dentro di noi e non sopra di noi, è il presupposto da cui parte Vasilij Kandinskij, uno dei massimi esponenti dell’arte astratta.
Quello che Hegel non poteva prevedere è che parte dei movimenti a lui successivi, proprio per sottrarsi al tramonto dell’arte, sviluppassero una nuova direzione spirituale a ritroso tale da elevare l’arte a religione. Questo è quanto accade nel filone astratto dell’avanguardia del Novecento, la cui peculiarità è data dall’intendere, come Hegel, l’epoca nuova come “era dello Spirito”, e, insieme, dal comprendere, oltre Hegel, l’arte come suprema manifestazione spirituale.
La scoperta dell’atomo, la disintegrazione della materia, la poesia di Maeterlinck, la musica di Wagner e Debussy, la pittura di Cézanne, Matisse e Picasso, sono i segni che annunciano il nuovo mondo.
Per Kandinskij, tutto risuona nello slogan “L’art pour l’art”, in cui si realizza la liberazione dalla schiavitù della materia. Ciò richiede l’affermarsi di una nuova bellezza, puramente interiore, per la quale l’arte non deve rappresentare il mondo bensì agire nell’anima mediante la forma e il colore. Proprio come per lo Spirito di Hegel, l’arte di Kandinskij è un processo graduale, è l’esteriorità che si risolve in una dualità.
L’opera d’arte, dando forma a contrasti diviene a sua volta il luogo della loro conciliazione. Questa conciliazione è il simbolo dell’armonia dialettica tra colori opposti, e questo è ciò che l’arte astratta esprime.
Essa non è più, come nel Cubismo, il risultato della stilizzazione geometrica di elementi presenti nel mondo esterno, bensì è una verità interiore, è lo spirito che autonomamente, a partire da sé, esprime un’armonica realtà contro il disordine che regge il mondo interiore.
L’arte astratta costituisce il tentativo di recidere il cordone ombelicale che unisce l’arte al mondo sensibile nel tentativo di esprime l’interiorità nella sua “purezza”.
Non c’è icona o volto che possa esprimere l’invisibile.
Da Kandinskij e Mondrian a Kupka e Klee, o meglio per l’uomo del ventesimo secolo, la rappresentazione dell’infinito si esaurisce nella profanazione del divino e dell’assoluto. La nuova arte conviene con le conclusioni dell’estetica hegeliana: Dio non può più essere rappresentato in forma esteriore.
Si realizza così, nell’immaginario mistico-religioso dell’avanguardia, l’utopia delineata da Georg Simmel, a conclusione del suo saggio su Michelangelo:
“tutti quelli che, come Michelangelo, aspirano a conquistare i valori e le infinità di questo regno senza abbandonare il primo, vogliono pensare al dualismo di una sintesi; ma rimangono ancorati alla mera esigenza che un regno debba esaudire i desideri dell’altro, senza giungere ad una nuova unità al di là di quella antitesi. L’umanità non ha ancora trovato il terzo regno”
Questo “regno”, secondo Kandinskij e Mondrian, è arrivato. E l’arte astratta è la prima manifestazione del suo avvento.
Marika Micoli
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