Ecocentrico: il climate change attraverso gli occhi di due Millennials
Una studentessa di Economia e una di Lettere si incontrano in un bar e decidono di raccontare l’impatto del climate change in pillole.
Sembra l’inizio di una barzelletta quella di Arianna e Aurora, le due giovani fondatrici di Ecocentrico, un progetto divulgativo nato per raccontare questo mondo che gira a folle attraverso lo sguardo curioso di due 19enni.
Dal Green Friday come controproposta al Black November alla biopirateria.
Dall’avocado a 0 impatto ambientale a “Sustain”, il primo preservativo ecosostenibile. Armate di curiosità e avventurandosi in una scrupolosissima ricerca di fonti, queste due compagne di liceo hanno messo l’informazione al servizio dei social attraverso un linguaggio limpido che dribbla i soliti odiosi tecnicismi. Economia e politica finalmente rese accessibili ad un pubblico trasversale ed un modo efficace di creare eco-consapevolezza tra i Millennials (e non solo). Conosciamole meglio…
Da dove nasce Ecocentrico e come siete riuscite ad incastrare due background così distanti attraverso questo progetto?
Arianna: «In realtà in modo assolutamente casuale. Tre anni fa, tra i suggerimenti di visione su Netflix, ho scovato The True Cost, un documentario che illustra i retroscena della fashion industry e il suo disastroso impatto sull’ambiente. Mi si è aperto un mondo ed è stato il primo vero campanello d’allarme.
Poi sono arrivati i Fridays For Future.
Versione di latino saltata in massa, ma che energia!
Per la prima volta ho trovato un riscontro pratico che desse un senso al mio sostegno alla causa. Ma l’impegno serio è subentrato con l’università, quando alla Bocconi sono diventata content creator e poi communication manager di Green Light for Business, un’associazione studentesca che si batte per un modello economico che abbracci un’etica sostenibile. Ecocentrico ha rappresentato un passo ancora più audace: creare una vetrina divulgativa svincolata da qualsiasi istituzione in cui potersi esprimere liberamente. Quindi in pieno lockdown ho condiviso l’idea con tantissimi miei amici che si sono detti entusiasti e abbiamo preparato ben quaranta articoli con le rispettive grafiche. Ma solo ad ottobre, dopo tante insistenze e l’incoraggiamento chi di ha visto questa idea nascere e prendere forma, abbiamo deciso di aprire la pagina».
Aurora: «Come anche per Arianna, i Fridays For Future hanno rappresentato per me la chiave di volta di questa piccola missione. Da lì ho scelto di partecipare alla creazione di Ecocentrico – essendo anche un’appassionata scrittrice – e ho voltato le spalle ad un passato poco edificante di accanitissimo anti-veganesimo.
Pensa che contraddizione!
Per questo riesco ad empatizzare con lo scetticismo di chi fatica ad approcciarsi al mondo dell’ecosostenibilità, perché io, in primis, avevo sospetti su queste scuole di pensiero che giudicavo estremiste. Credo tantissimo nella crescita personale e nel valore dell’informazione. Se avessi approfondito questi temi prima, avrei preso parte al cambiamento molto tempo fa. Non vorrei che altri, a differenza mia, non cambiassero mai invece».
Trovo gli interventi della vostra pagina utilissimi perché, oltre a fare informazione in modo immediato, chiaro e documentato, mostrano il volto spesso torbido di alcune abitudini apparentemente etiche, come il caso della musica liquida. Ci spiegate di cosa si tratta e quale sarebbe, secondo voi, una valida alternativa?
Arianna: «Sì. Per musica liquida si intende l’ascolto di una musica dematerializzata, spogliata degli involucri in plastica dei cari vecchi CD-ROM, ma non per questo motivo a 0 impatto ambientale.
Questo formato infatti, se in fase di produzione ha una carbon footprint più contenuta, in fase di consumo richiede invece il triplo dell’energia dei mezzi tradizionali. Greenpeace ha realizzato recentemente Click Clean, una classifica dei servizi streaming di musica e messaggistica a cui viene assegnato un ranking in base al grado di sostenibilità.
A differenza di Spotify, Google Play e iTunes sono tra i primi della lista, perché appoggiati a data center sostenibili.
Apple, in particolare, a settembre ha inaugurato in Danimarca un data center alimentato interamente da energia rinnovabile prodotta localmente, che consente così di distribuire questi servizi a tutta Europa in modo 100% etico. Inviterei quindi un consumatore a considerare questi elementi prima di scegliere a quale piattaforma abbonarsi per ascoltare musica».
In un articolo avete spiegato perché il fast fashion non è femminista. Significa infatti finanziare lo sfruttamento di una forza lavoro sottopagata, composta per l’80% da donne non tutelate a livello aziendale e spesso vittime di molestie. Secondo voi quali sono le proposte di economia circolare più efficaci e femministe?
Aurora: «Io mi rendo conto di non fare troppa fatica a contenere le manie da shopping compulsivo, perché non ne ho mai avute (ride). Compro pochissimo, solo se ne ho davvero bisogno, o rubo tutto dall’armadio di mia madre. Ma col tempo ho capito che anche quell’amatissimo maglione che mi concedo ogni tanto può fare la differenza.
Il mio motto è: compra made in Italy, compra fatto a mano, compra usato. Se il brand scelto nell’acquisto risponde ad almeno due di queste voci, c’è un’ottima probabilità che si tratti di un capo sostenibile, che non violi i diritti umani, e, più nello specifico, delle donne.
In particolare mi sento di citare Il Vestito Verde – un database che offre una mappatura delle attività commerciali sostenibili – e Fashion Revolution, una vera e propria bibbia per uno shopping consapevole».
Come si fa a distinguere un brand genuinamente sostenibile da un greenwashing perfettamente confezionato?
Arianna: «Per me il segreto è interrogarsi sul prodotto in sé e il modello di business del brand. Ci sono dei prodotti che, a rigor di logica, non possono essere green. Se un marchio ti propone cinquantadue collezioni all’anno, inevitabilmente, non è sostenibile. Poi il prezzo è una spia importantissima: un capo realizzato nel rispetto dell’ambiente e dei diritti fondamentali dei lavoratori non può mai costare dieci euro».
Su Ecocentrico avete approfondito il caso McLibel, la battaglia legale tra London Greenpeace e McDonald’s che ha smascherato le dinamiche produttive dell’universo fast food. Voi credete davvero che i tempi siano cambiati, come dichiarato dal colosso in risposta alle accuse?
Aurora: «Qualcosa è sicuramente cambiato, oltre allo sfondo del logo che da rosso è diventato verde. C’è più attenzione perché il consumatore, in primis, è più consapevole. È stato lanciato un menù veg e il packaging è stato alleggerito…»
Arianna: «Ma, come dicevamo prima, per quanto ci si stia adattando alla domanda, il modello decennale a catena di montaggio che ti offre un pasto fast a tre euro richiederebbe un cambiamento strutturale. E soprattutto necessiterebbe del doppio dello sforzo di un business green orient ed nato ora per potersi davvero chiamare sostenibile…»
Suggerimenti per un lettore sensibile alla causa ambientalista che non sa da dove iniziare?
Arianna: «Direi di cominciare dalle piccole cose, le più semplici: io sono partita da spazzolino di bambù e shampoo solido. Poi un’attenzione maggiore a spesa e abitudini alimentari, grazie a iniziative bellissime come l’app contro gli sprechi alimentari Too Good To Go e Babaco Market, che raccoglie frutta e verdura locale rimasta invenduta nei supermercati perché “brutta”. Passare da una famiglia di agricoltori baresi a Milano è stato traumatico, ma questi piccoli accorgimenti possono davvero fare la differenza».
Aurora: «Io invece mi sono convertita ai mezzi pubblici e mi sto spingendo verso il vegetarianesimo. Vorrei insistere su questo punto perché capisco quanto possa essere difficile: vengo da una famiglia di macellai, quindi la carne a casa mia non manca mai, ma per due settimane al mese ho scelto di abolirla. Qualcuno potrebbe dire che è poco, ma a me costa tantissimi sforzi. Il cambiamento è un processo lungo che avanza a piccoli passi».
Complimenti a chi, come Arianna e Aurora, ha il coraggio di iniziarlo, questo cambiamento. Brave ragazze!
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