Edward Hopper: un silenzio terribilmente assordante
Vi è mai capitato, magari a notte fonda o all’ora del tramonto, di trovarvi soli assorti nei mille pensieri che vi frullano per la testa?
Se la risposta è affermativa – ma, d’altronde, sappiamo tutti che lo è – allora la vostra realtà non è così lontana da quella rappresentata da Edward Hopper.
Quadri dal taglio fotografico, colori tenui e pennellate morbide: ecco come descrivere in poche parole le opere del pittore americano Hopper, artista attivo nella prima metà del ‘900 che è riuscito, con i suoi dipinti, ad incantare e far riflettere.
Protagoniste indiscusse della scena sono figure dallo sguardo vacuo perse ad inseguire qualcosa di non tangibile, fissando il vuoto come se questi fosse proprio davanti a loro, talmente assenti nel visualizzarlo da essere incapaci di alzarsi e raggiungerlo.
Gli occhi dei personaggi sono spesso puntati verso una finestra, rivolti al “fuori”, alla socialità, ad un esterno in cui spesso non si sentono di appartenere o dal quale volontariamente rifuggono.
Le silhouette raffigurate diventano così parte del mobilio, assumono la stessa importanza di un vaso di fiori, tanto belli quanto di contorno.
A loro spetta l’unico compito di indirizzare lo sguardo dell’osservatore verso qualcosa che sfugge dal campo visivo del quadro, ma che rende ugualmente percepibile il senso di alienazione di cui tutte le opere di Hopper sono pregne.
Quelli che dovrebbero dunque contribuire al dinamismo della scena si trasformano in manichini, oggetti di arredamento o elementi che si confondono con la natura che li circonda, ma che certamente non rendono la narrazione del dipinto meno interessante. Anzi.
Donne in contemplazione sul letto, uomini in un bar o ad una pompa di benzina intenti nei loro piccoli momenti di intima quotidianità ci rendono partecipi, senza volerlo, delle loro emozioni più segrete, colti in flagrante mentre inseguono una scia di pensieri che non riescono ad acciuffare.
È singolare notare che, svuotando le stanze, le strade ed i locali dei dipinti di Hopper dalle persone presenti, il paesaggio in un primo momento sembrerebbe non perdere alcunché di rilevante, quando in realtà si sta andando ad eliminare un insieme di sentimenti e di sensazioni che anche solo una schiena di spalle leggermente incurvata in avanti sa donare, facendo scoppiare in un’immagine apparentemente immobile e silenziosa un rumore assordante e continuo: l’incessante scorrere dei pensieri della nostra mente.
È la meraviglia di cui l’animo umano riesce ad essere capace. Ed è quello che Hopper, nella sua celebre frase “Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo”, intendeva voler rappresentare.
Ilaria Aversa
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