Il fonosimbolismo: la simbiosi tra suono e parola
Mi ritrovo spesso a scrivere un qualsiasi messaggio, un testo, un breve pensiero, più e più volte.
Non è la scelta lessicale a lasciarmi insoddisfatta, ma il modo in cui “suonano” certe frasi: con suonano non mi riferisco al senso, ma al suono in senso stretto, alla realizzazione fonica vera e propria.
Cercavo, dunque, dei termini che potessero in qualche modo dare corpo, offrire un’immagine concreta ai concetti che avevo in mente: volevo che i significanti riflettessero i significati.
Questa premura è appartenuta, più di un secolo fa, ad un certo Giovanni Pascoli, ma ancor prima ad Arthur Rimbaud: secondo il poeta, les mots sono in grado di evocare in forma sinestetica delle immagini, delle proiezioni mentali emotivamente forti. Questo suggestivo, intenso legame che sposa il suono alla parola viene detto fonosimbolismo.
Secondo la definizione offerta dalla linguistica, il fonosimbolismo concerne la capacità dei suoni di richiamare, attraverso le loro caratteristiche articolatorie, il significato delle parole che questi veicolano. Tale termine si è successivamente esteso in ambito letterario nell’Ottocento con l’opera francese e successivamente italiana, per indicare la potenza evocativa delle parole utilizzate dagli scrittori.
Il fonosimbolismo, così come l’iconismo linguistico, secondo il quale i segni linguistici assomigliano alle entità che rappresentano, metterebbero in crisi la prima regola della linguistica moderna: la lingua è un sistema di segni arbitrari, e dunque non vi sarebbe una netta correlazione tra i significanti, ossia le parole, ed i relativi significati. Si tratterebbe, quindi, di un’assegnazione convenzionale, immotivata. Il fonosimbolismo, al contrario, troverebbe una correlazione tra rappresentazione fonica e significante.
l dibattito sulla natura dei segni linguistici è in realtà molto antica e affonda le radici nella filosofia greca: La dicotomia tra phýsis «natura» e nómos «accordo», concetti riconducibili rispettivamente a Platone e Aristotele, concerne proprio la forma delle parole e il loro significato. Il primo ipotizzava che vi fosse un legame naturale tra le due parti; l’altro, invece, sosteneva che vi fosse un rapporto convenzionale, governato dall’uso della lingua nella società.
Attualmente, seppure la linguistica continui a sostenere la validità del principio dell’arbitrarietà, sembra esserci un’attenzione ed una sensibilità sempre più concreti nei confronti degli aspetti iconici e fonosimbolici delle lingue. Oggi, infatti, se ne distinguono diverse categorie: il fonosimbolismo mimetico, sinestetico, grammaticale e fisico.
Il primo concerne i suoni della natura, i versi degli animali, i rumori ambientali, tipicamente riprodotti mediante onomatopee.
Il fonosimbolismo sinestetico riguarda la riproduzione fono-acustica di fenomeni non sonori, e nella fattispecie al legame tra lettere e proprietà sensoriali. Per fare un esempio pratico, le vocali [a] e [o] ci rinviano ad un senso di ampiezza e grandezza, mentre [i] evoca sicuramente un’immagine molto diversa, legata alla piccolezza, la minuzia. A tal proposito, la maggior parte delle lingue presenta la vocale [i] nella marca del diminutivo, mentre la [o] è maggiormente presente negli accrescitivi.
L’associazione tra timbro vocalico e dimensione ha un fondamento concreto: in natura esiste, infatti, un rapporto diretto tra la frequenza acustica di un suono e la grandezza del corpo che lo riproduce. In altre parole, i corpi piccoli e leggeri producono suoni acuti, mentre quelli voluminosi tendono alla produzione di suoni più gravi. Basti pensare ai suoni degli strumenti musicali, come la viola e il contrabbasso. Allo stesso modo, la frequenza dei suoni vocalici delle lingue umane è diversa a seconda delle loro caratteristiche articolatorie: il valore delle loro armoniche dipende direttamente, infatti, dal volume della cavità orale. Il fonosimbolismo di tipo sinestetico ha pertanto concrete basi biologiche che andrebbero a ridimensionare, se non a mettere in discussione, il concetto di arbitrarietà del segno.
Per comprendere il senso di fonosimbolismo grammaticale potrei fare qualche esempio pratico: per gli italofoni, il fonema sibilante /s/ è associato all’idea di un movimento sinuoso, elegante, perché compare sistematicamente come suono iniziale di parole come scivolare, serpente, sciogliere; /r/ rinvia a impressioni di movimento rapido, ma anche al concetto di durezza: vibrare, rapido, tremare, ruvido.
Il fonosimbolismo fisico riguarda suoni o prosodie che esprimono lo stato emotivo o fisico del parlante; rientrerebbero in questa categoria reazioni fisiche come fischi, urla, singhiozzi, tic.
Merita menzione anche l’antonimia articolatoria, ossia la tendenza degli organi fonatori a chiamarsi con i suoni che essi stessi producono: un esempio concreto è la parola denti, composta dalle consonanti dentali /d/, /n/ e /t/, naso con la nasale /n/, labbra con la labiale /b/.
Cito, infine, l’esperimento kiki-bouba: nel 1929 lo psicologo tedesco Wolfgang Kohler sottopose un numero di parlanti alla visione di due forme: una dai lati spigolosi, l’altra dalle linee morbide, e chiese quale delle due fosse “bouba” e quale “kiki”. Il 95% delle persone, indipendentemente dalla lingua, rispose che kiki fosse la forma spigolosa e bouba quella sinuosa: non è casuale che ci sia un arrotondamento delle labbra per pronunciare /b/, mentre rimangono tese per pronunciare le occlusive sorde come /k/ e /t/, consonanti discontinue che provocano interruzioni improvvise. Le due figure si ricollegavano, dunque, in maniera esplicita ai presunti nomi.
Ho sempre trovato che la fonetica e la semantica siano gli aspetti più affascinanti della linguistica. Il fonosimbolismo, oltre a rovesciare uno degli assiomi della linguistica, rappresenta l’anello di congiunzione tra parola e realizzazione fonetica. Potremmo considerarlo, se vogliamo, come l’arrangiamento di uno spartito: le parole sono ricollegabili alle note, i foni alla melodia, e l’intera canzone al simbolo, l’entità, l’emozione evocata da quest’ultima.
Questo è il fonosimbolismo: un cerchio continuo in cui parola, suono ed emozione si inseguono, si cercano e si intersecano reciprocamente.
Giovanna Alaia
Vedi anche: L’ipotesi di Sapir-Whorf: la lingua come mezzo di categorizzazione della realtà