La libertà è partecipazione: lettera d’amore a Giorgio Gaber
In una fredda notte milanese di gennaio, il 25 per essere precisi, sotto il segno dell’Acquario, venne al mondo Giorgio Gaber. Era il 1939.
Il 18 agosto del 1988, in una afosa serata napoletana, vidi la luce io, sotto il segno del Leone.
Due creature più lontane, più agli antipodi, non potevano esistere. Eppure da questi due esseri separati da distanza siderale è nata una storia d’amore.
Una storia d’amore destinata, purtroppo, a non realizzarsi mai. Ma del resto, tutte le storie davvero romantiche sono impossibili. Così diceva qualcuno di importante, o almeno credo.
Eppure, se dovessi rispondere alla domanda “Chi ti ha insegnato ad amare?” risponderei senza batter ciglio “Giorgio. Giorgio Gaber”. Chi altro, se non l’interprete di Quando sarò capace di amare, è in grado di percepire la profondità di un sentimento doloroso, incerto, distruttivo?
Giorgio parlava, raccontava l’amore usando le parole più attente, più giuste. La sua assoluta padronanza delle inflessioni, le sfumature di una lingua che è già musica nel suo concepimento: l’italiano. L’ amore di cui canta – ma soprattutto recita – Gaber è un amore per la lingua italiana usata come poesia, comunicabilità totale dell’incomunicabile.
“La libertà non è star sopra a un albero/ non è neanche il volo di un moscone/ la libertà non è uno spazio libero/ libertà è partecipazione”, canta Giorgio nella sua hit intitolata appunto La libertà. Un pezzo, insomma, che ha cambiato e scritto la storia della musica italiana per essere un veicolo perfetto di amore: per l’umanità tutta, inserita in un contesto di lotta sociale e politica, nell’ideale puro di un comunismo radicato nella solidarietà.
La bellezza della mia storia d’amore con Giorgio Gaber è che lui, per fortuna, non ne ha mai saputo nulla. La perfezione di un rapporto platonico ed unidirezionale è che riesce ad esprimersi nelle sue caratteristiche migliori: senza aspettative, completamente. E così da Giorgio ci si lascia trascinare, colpire, dalla incredibile varietà dell’esistente, dalla sua imprendibile fluidità.
Un uomo, un anticonformista in conformità però con l’animo del suo pubblico, un carismatico ribelle senza paura di parlare dell’assenza di senso, della masturbazione, dell’egoismo amoroso, del comunismo. Politica e vita si fondono in una poetica che non ha limiti lirici, ma sa manifestarsi nella sua grandezza in ogni cosa, in ogni verso, in ogni interpretazione.
Caro Giorgio, la tua immortale grandezza è il dono che l’artista riesce a lasciare in vita, fruibile a coloro che sono richiamati a quel canto di verità, delicatezza, dolore, gioia. È difficile che possa esistere un altro te, qualcuno in grado di raccontare il popolo dell’Italia moderna, poco prima che diventasse contemporanea.
L’ironia, la cultura, la fantasia sfrenata si avvolgono ad una produzione musicale e teatrale che abbraccia il paese nei suoi cambiamenti culturali più profondi. Giorgio Gaber è la voce dell’Italia, ed è importante ricordarlo, rieducarsi alla curiosità di un artista versatile e poliedrico.
Riprendiamo in mano, all’orecchio, nell’immaginario quella sete di cambiamento, di rivoluzione, di qualità che ha reso Giorgio Gaber uno dei più potenti poeti della nostra storia.
Buon compleanno, Giorgio, sappi che ti ho amato tutta la vita!
Sveva Di Palma
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