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Las Víctimas de Trata: la ferita ancora aperta e sanguinante dell’Argentina

Ad oggi sono quasi 30000 las desaparecidas in Argentina, 1200 solo a Buenos Aires.

Ma chi sono las desaparecidas?

Las desaparecidas sono bambine e ragazze tra i dieci e i ventidue anni “misteriosamente” scomparse, che dopo essere state rapite vengono costrette a prostituirsi e infine vengono uccise quando considerate “troppo vecchie” per vendere il proprio corpo.

L’origine del fenomeno è da collocarsi nella dittatura militare argentina avvenuta tra il 1976 e il 1983. È infatti in questi anni che nasce la pratica dei rapimenti dei figli dei dissidenti del regime.
Ma attualmente la pratica si declina come rapimento di ragazze e giovani donne, tramite fidanzati o parenti che le vendono ai tenutari dei bordelli, con la complicità delle autorità argentine che conoscono ma coprono tali dinamiche.
Se durante la dittatura il fenomeno interessava le aree più povere del paese, oggi è diffuso anche nei quartieri borghesi di Buenos Aires. La criminalità oggi nasce nonostante le risorse economiche, sociali e culturali.

Il meccanismo con cui avviene oggi il rapimento è analogo a quello del secolo scorso, ma oggi le Ford Falcon del tempo sono state sostituite da furgoncini bianchi e le vittime non sono più giovani dissidenti politici ma il crimine è andato specializzandosi e oggi si coniuga come sequestro, possesso e vendita del corpo femminile.

Attualmente è l’ONG Madres víctimas de Trata che tenta di sensibilizzare la comunità locale e globale sul tema, cercando di dargli visibilità.
L’associazione, erede delle Madres e Abuelas de Plaza de Mayo attive durante la dittatura militare, è composta dalle madri delle “desaparecidas”, ed è stata fondata dieci anni fa da Margarita Meira, vittima in prima persona del fenomeno.
Infatti, nel 1991 sua figlia Susanna Becker scomparve all’età di 17 anni. Le istituzioni ne parlarono come di una fuga d’amore, e imputarono la sua morte ad un incidente, ma i genitori sono riusciti a dimostrare che la ragazza è stata uccisa, con la complicità del fidanzato. E se questo non fosse già abbastanza drammatico, Susanna era incinta, e quindi probabilmente uccisa perché non più utile al sistema di prostituzione e dei “prostibulos”.
Questa è solo una delle tragiche vicende a cui Margarita con la sua associazione cerca di dar rilievo, non facendo sprofondare le storie di queste ragazze nell’oblio ma lottando personalmente, affinché le donne uccise vengano ricordate e quelle ad oggi sequestrate, vengano liberate.   

Il terzo venerdì di ogni mese da ormai quattro anni le associazioniste si riuniscono in Plaza de Mayo a Buenos Aires per manifestare contro tale dinamica insieme a Las Mariposas, collettivo di denuncia contro il sistema patriarcale, nato in memoria delle sorelle Mirabal che si opposero al sistema dittatoriale che caratterizzava la Repubblica Domenicana negli anni ’30. 

Questa è anche la stessa piazza dove si riuniscono da decenni le madri dei desaparecidos della dittatura militare argentina della fine degli anni ’70. Insomma, questa piazza è divenuta un simbolo, un punto di raccolta di chi non si piega al potere, di chi non ha paura di opporsi ad un sistema dove i diritti umani vengono continuamente calpestati.

L’associazione di Margarita Meira e l’unione delle forze di famiglie spezzate come la sua hanno permesso di rompere il silenzio intorno alla Trata, il silenzio assordante che riecheggia nelle coscienze di chi conosce un meccanismo che lacera un paese, ma che non ne parla, che non agisce e che non denuncia.

Las Víctimas de Trata è la dimostrazione che nell’assenza dello Stato, le vittime stesse sono costrette ad organizzarsi privatamente per far fronte a situazioni di ingiustizia e di crimine di cui lo Stato non si fa carico, per preservare quei diritti civili e quella giustizia che dovrebbero essere una delle prime prerogative di uno Stato.

Nell’assenza delle istituzioni e nell’impossibilità di rovesciare un sistema criminale così organizzato, l’unico spiraglio sembra essere puntarci i riflettori, dargli risonanza mediatica, portarlo al centro del dibattito politico internazionale e far sapere che logiche che a noi europei appaiono così feroci da risultare inverosimili, sono la routine in paesi meno avanzati come l’Argentina.

Margarita Meira stessa attribuisce allo Stato la responsabilità maggiore della Trata, accusando come connivente di tale meccanismo Mauricio Macri, presidente della Repubblica fino al dicembre del 2019, di origini italiane, che è stato ritratto in una foto con i tenutari dei bordelli, i maggiori responsabili del fenomeno.

Margarita combatte da sola questa battaglia, completamente abbandonata dalle istituzioni politiche, anche da quelle di opposizioni. Lei e le compagne dell’associazione possono contare solo su una squadra di medici, psichiatri, avvocati che collaborano con loro gratuitamente.
La loro attività però non si limita a sostenere le madri, ma anche grazie alla sede della associazione essa ricopre un importante ruolo sociale: sono cuoche per la mensa “Madres de Constitución” che sostenta più di seicento persone, ma sono anche organizzatrici di lezioni scolastiche.
Ultimamente però la loro attività è in pericolo poiché il proprietario dell’immobile ha ricattato le attiviste di vendere la loro sede; essa rappresenta un punto di riferimento per tutte le vittime da ormai trenta anni, e chiuderà se le attiviste non saranno disposte ad acquistarla.  


Per questo l’ONG ha indetto una raccolta di fondi tramite le proprie pagine social Instagram (@madrestrata) e Facebook (MADRES Víctimas de TRATA) per sostenere uno spazio civico che rappresenta un’importante punto di riferimento per la comunità.

La mercificazione del corpo femminile se da una parte è il riflesso di una società patriarcale, dall’altra è conseguenza del sistema capitalistico che individua nel denaro un valore unico in nome del quale qualsiasi atto è lecito.

È necessario abbandonare il nostro punto di vista eurocentrico, e smettere di fregiarsi delle conquiste delle donne europee, riconoscendo che fin quando non sarà mondiale, non ci sarà alcun progresso. Fin quando le donne non saranno considerate esseri umani e non carne da macello, ad ogni latitudine del nostro pianeta, non si potrà veramente mai concretizzare la parità di genere.

Chiara Celeste Nardoianni

Vedi anche: Un lieto fine? Il Cile ottiene una nuova Costituzione 

Chiara Celeste Nardoianni

Mi chiamo Chiara Celeste Nardoianni, sono toscana ma prima che me lo chiediate, non aspiro la 'c' nella frase "la coca cola con la cannuccia corta corta". Ho il bellissimo difetto di credere nel potere sociale della letteratura e che un buon libro possa essere una chiave di lettura della realtà. Come diceva Gandhi dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

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