Pelé, il re del calcio: la storia prende vita nel documentario Netflix
L’anno dei grandi documentari è sicuramente il 2021.
Il futuro, ormai, nella sua incertezza diventa un prospetto quasi temibile, mentre il passato è profondo, interessante, rassicurante.
Il calcio, unico sport che tutto unisce – passato e presente – è ancora un territorio neutrale, in cui si diventa cittadini del mondo. Questo è il messaggio veicolato dal nuovo documentario di Netflix, Pelé.
Tra grandi immagini di repertorio, davvero incredibili, risalenti agli anni ’40 e ’50, e momenti di presente commovente, questa produzione originale Netflix ripercorre le tappe del primo grande calciatore-divo, Pelé, pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento.
La storia parte da lontano, dal dimenticato Brasile degli anni ’40, una terra povera ma felice in cui il piccolo Pelè comincia a muovere i primi passi. Figlio di un giocatore già famoso localmente, non desidera altro che imitare il padre.
Ma il suo destino – già scritto nei suoi piedi perfetti, nel suo controllo del pallone e nella percezione geometrica del campo da gioco – è molto grande, non può finire a Três Corações, Brasile.
Ed infatti, la sapiente regia di David Tryhorn e Ben Nicholas ci dipana la vita in crescendo di un artista del calcio, un uomo che dal nulla è stato improvvisamente gettato nell’iperuranio calcistico come baluardo di un paese intero. Inconsapevole, ingenuo, ma anche inscindibilmente legato ad un carisma naturale, Pelé diventa in una manciata di anni O Rei. Diventare Re del Brasile ed il re di uno sport, in un’età delicata come quella della crescita, del passaggio da ragazzo a uomo, rende la figura di Pelé contraddittoria.
Il Brasile, nel suo passaggio da una democrazia vitale ad una dittatura militare, cambia volto senza che la sua icona, il suo Re, si esprima in favore o in disaccordo. Uno sportivo sempre in linea con il sistema, qualunque esso fosse, lo definisce forse come un codardo, un pavido. Ma il messaggio profondo del documentario è gentile, profondo: il calcio è la Svizzera, è una terra in cui non si possono combattere battaglie politiche, ci si allea spontaneamente con il proprio paese ma si gioca anche con gli altri. Il Re era il Re, al di sopra di qualsiasi regime o democrazia.
Un Pelè ottantenne, che a stento deambula da solo, si unisce ai suoi vecchi compagni di squadra nel duemilaventi per ricordare, commuoversi, rivivere vittorie e sconfitte. Per chi guarda, è impossibile non immedesimarsi, empatizzare, capire la grandezza del giocatore e la fragilità dell’uomo. La prima superstar del calcio, un uomo che veniva dal niente è diventato tutto. Troppo, forse, a sua detta. La fama, amica ma anche infame, segna e segue la vita di Pelé penetrandogli fin nelle ossa, cucendogli addosso vestiti e maschere non sue, perdendo la sua essenza nella folla.
Il Pelé del duemilaventi, saggio ed emotivo, vince quelle maschere e viene fuori nella sua potenza, infine. Il suo unico obiettivo restava ed è sempre rimasto, il calcio. L’unico linguaggio, l’unico codice a lui necessario per esistere, è il gioco del calcio.
Un documentario raffinato, lungo ma ben strutturato, permette di accedere alle ombre e alle luci di uno dei personaggi che hanno definito la storia del mondo, un divo, una superstar.
Buona visione!
Sveva Di Palma
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