Antonio Mocciola per Ceci n’est pas un blasphème con arte, cinema e attualità
Antonio Mocciola è uno scrittore, ma anche autore teatrale e giornalista.
Sarà presente all’evento Arti Censurate al PAN di Napoli e porterà con sé cinema, arte e fotografia.
In esposizioni nuove, che hanno una sola parola d’ordine: laicità.
Sei scrittore, ma anche autore teatrale. Puoi raccontarci il tuo percorso e cosa ti ha spinto ad intraprenderlo?
«Il desiderio di comunicare è lo stesso, la forma può cambiare.
Scrivere è descrivere, evocare, inscenare. Ed è una grande libertà. Sono giornalista, e quindi la sintesi e, se vogliamo, una certa scaltrezza possono avermi aiutato, ma la fantasia, e il coraggio, sono essenziali quando si scrive per il teatro, o per il cinema. Se manca uno solo di questi ingredienti la calligrafia resta lettera morta.
Amo scrivere per attori, attrici e registi che stimo, ma anche, perché no, su commissione, o “al buio”. È bello sapere che le tue parole avranno determinate voci, eppure anche il non saperlo può essere interessante.
Non amo le sorprese, ma amo sorprendermi».
Hai scritto libri come Le belle addormentate e Il tempo degli amaranti, ma c’è un elemento che accomuna tutte le tue opere?
«Sono operazioni molto diverse tra loro, e ognuna aderisce a una parte della mia creatività. Ho scritto solo sette libri, ma centinaia di articoli, una cinquantina di opere teatrali e una ventina di cortometraggi.
Difficile trovare elementi comuni. Certamente il ricordo, la nostalgia, un romanticismo un po’ decadente mi appartengono, ma poi passo da un estremo all’altro, con lavori molto taglienti, violenti, espliciti, scomodi, spudorati.
In fondo, come diceva Whitman: “Conteniamo moltitudini”».
Parliamo di Addosso. Le parole dell’omofobia, un libro illustrato forte e necessario. Su cosa è incentrato e com’è nata l’idea?
«Troppo spesso ho sentito frasi omofobe gravissime dette in assenza di contraddittorio da personaggi autorevoli della chiesa, dello spettacolo e della politica. Frasi che possono portare al suicidio soggetti fragili, in primis gli adolescenti. Ho creduto giusto appuntarle, e scriverle sui corpi di 120 meravigliosi modelli e modelle che hanno aderito al progetto, e che non finirò mai di ringraziare.
Verba volant, si sa.
È bene ricordare cosa ci hanno fatto passare, in questi anni di piombo, ampi settori dell’informazione, della politica e ovviamente del clero. Altro che “lobby gay”. Siamo stati gli ultimi in Europa ad approvare una legge, che pure viene messa continuamente in discussione.
C’è ancora tanto lavoro da fare. Nel nostro piccolo, noi autori possiamo intervenire».
Quale sarà il tuo ruolo al festival delle Arti Censurate?
«Sono felicissimo, da agnostico e cultore della laicità, di partecipare a questo evento, grazie alla disponibilità e alla sensibilità di Emanuela Marmo, che mi ha dato fiducia e a cui spero di donare qualcosa di degno.
Sono decisamente nei panni che preferisco.
Presenterò in anteprima assoluta una pentalogia di brevi cortometraggi sui vangeli gnostici, a cui ho voluto dare una veste – credo e spero – artisticamente non banale, per la regia di Marco Prato.
Da Giuda a Maddalena, da Barabba a Lazzaro, parleremo dei contemporanei di Cristo e dei loro pensieri reconditi, a modo nostro. Siamo nell’ambito della fiction, ovviamente, come del resto lo è anche qualunque testo sacro, a cui scegliamo di credere o non credere solo per questioni di bisogno, o di cieca fiducia. Ed io non ne possiedo.
Ci divertiremo. E poi ho in serbo una piccola sorpresa, una performance live che oserà molto. Mi spaventa solo il Covid e i relativi divieti, per il resto ho coscienza e coraggio, e un sacrosanto (per dir così) bisogno di esprimere la mia laicità.
Del resto il mio motto, mutuato da Oscar Wilde, è: “Se scrivi qualcosa che non offende nessuno, non hai scritto niente”.
In arte si può fallire, oserei dire talvolta si deve, ma mai, mai essere innocui».
Che legame c’è tra Addosso e Ceci n’est pas un blasphème?
«Esporremo dei forex che racconteranno le frasi, di una violenza inaudita, dette da pii uomini di chiesa, dai pontefici fino ai parroci di provincia, e facenti parte del progetto Addosso. Ma anche degli inediti che sto preparando per l’occasione, foto che per la prima volta vedremo esposte, e che rappresenteranno “Le vittime di Dio”.
La persecuzione di atei e agnostici continua ancora oggi, ed io ne voglio parlare con l’unico linguaggio che conosco, prendendomi i miei rischi. Ogni libertà violata è una coltellata al cuore della democrazia (e della ragione), per cui non bisogna abbassare la guardia. Sento in giro una brutta aria, vedo sventolare crocifissi e rosari come coltelli, in nome di una verità che nessuno conosce, ma che pretende di essere legge. Io sono tra quelli che si ribella e alle preghiere televisive oppongo, anzi ostento, le lapidarie parole di Schopenhauer: “O si pensa, o si crede”».
Angela Guardascione
Vedi anche: Intervista a Cinzia Sciuto: tra informazione culturale e blasfemia
Immagine: Antonio Mocciola