Art in pills: gratitudine per la bellezza ereditata
Art in pills rappresenta uno spiraglio di bellezza e informazione in un periodo in cui l’arte è fisicamente lontana.
Ho avuto il piacere di intervistare Maria Chiara Iacona, content creator e divulgatrice d’arte, che ha trovato un modo per rendere l’arte fruibile a tutti, creando una pagina Instagram, “Art in pills”, che rappresenta un meraviglioso esperimento di galleria digitale.
Ciao Maria Chiara! anzitutto vorrei chiederti com’è nata l’idea di Art in Pills, che mi sembra sia portavoce della voglia di divulgare una passione, quella per l’arte.
«L’idea di Art in Pills nasce nello specifico sia da una mancanza che da un desiderio.
Da una mancanza perché, essendo una grandissima fruitrice dei social, ho sempre cercato soprattutto su Instagram un account che si dedicasse in maniera esclusiva all’arte nella sua interezza e complessità, toccando tutti i suoi periodi storici.
Questa mia ricerca si imbatteva sempre e solo in periodi ben precisi.
Ma non avevo mai trovato qualcosa che affrontasse ogni singolo periodo storico ed artista attraverso un racconto completo per come lo intendessi io.
Da un desiderio perché volevo creare uno spazio in cui potere parlare dell’arte e degli artisti, cercando di farli conoscere in una maniera un tantino più personale.
Sono sempre stata una persona abbastanza sintetica e concreta, per cui ho pensato perché non unire questa mia passione nel comunicare l’arte alla sinteticità? Ossia attraverso un linguaggio semplice, diretto ed al contempo veloce.
Le nuove generazioni oggi parlano un nuovo linguaggio, quello della velocità.
Vogliono apprendere contenuti e farlo nel minor tempo possibile, molto spesso questo tempo dura meno di quindici secondi.
Il pubblico di Instagram, in genere, utilizza questo social anche per la brevità dei contenuti, molto spesso si tratta di un carosello di cinque o sei immagini con contenuti chiave che l’utente può salvare e leggere, per cui l’idea doveva coniugare queste due cose: da un lato fornire quanti più dettagli possibili in maniera semplice e dall’altro essere veloce.
Inoltre, è necessario sdoganare l’idea che, per appassionarsi di arte, bisogna per forza essere degli storici, o appartenere ad un livello sociale medio-alto.
Ho capito allora che Art in pills doveva farsi carico di questa responsabilità sociale, facendo da ponte tra il pubblico di Instagram ed il museo o gli artisti stessi, cercando di suscitare interesse e curiosità.
Praticamente portare le persone al museo, senza essere fisicamente al museo.
Mi capita di ricevere apprezzamenti anche dai più giovani, il che significa che la giusta strada è ridare alle nuove generazioni l’empowerment, che fino ad ora era stato loro tolto.
Ricordando che non solo rappresentano il nostro futuro ma, se anche solo in parte, si riesce a far suscitare interesse per un artista o per le sue peculiarità, anche semplicemente per soli quindici secondi, credo si possa affermare con certezza si tratti di una piccola rivoluzione digitale nel mondo dell’arte».
Ho notato che, nei post, è molto presente una componente: i volti. C’è un significato ben preciso dietro questa scelta?
«L’artista attraverso i volti ha sempre raccontato anche un po’ la sua vita, come una sorta di traccia per i posteri.
I volti rappresentano, insieme ad altri elementi cruciali per il racconto, la storia di un individuo.
Prendiamo ad esempio il più conosciuto, Caravaggio.
Utilizzava i volti delle persone più comuni per esprimere la sua personale protesta contro la perfezione idealizzata del genere umano, o per rappresentare il suo sentimento interiore, come la sofferenza.
Motivo per cui, molto spesso, nella narrazione prediligo i volti ed i ritrattisti in genere, perché se proprio si deve raccontare qualcuno che non può farlo in prima persona perché non più in vita, i volti sono secondo il mio personalissimo modo di raccontare, la traccia più possibile vicina alla verità stessa».
Vedo che non sono presenti solo dipinti, ma hai proposto anche molte fotografie, spesso in bianco e nero. Credi che ci sia un filo conduttore tra le arti?
«La fotografia è a mio avviso assolutamente una forma d’arte, chiaramente contemporanea.
Fino a qualche tempo fa non lo era considerata, era sempre sulla soglia, ad un passo dal diventarlo, ma non entrava mai veramente a farne parte.
È stato durante il mio corso di specializzazione al MoMA che ho capito quanto lo fosse. È principalmente grazie al MoMA, il quale istituisce un dipartimento di fotografia nel 1940 al suo interno, che la fotografia sarà consacrata come arte contemporanea, finendo esposta subito dopo nei principali musei.
A mio avviso, inoltre, senza la fotografia non vi è arte. Ti cito alcuni esempi.
La land art o la performance art non sarebbero mai potute divenire oggetto di collezione ed esposizione da parte di Istituti d’arte se non fosse esistita la fotografia a documentarle.
Penso ad esempio alla prima performance a Napoli di Marina Abramovič durante gli anni ’70 che fece gridare allo scandalo.
Non avremmo traccia visiva di quel momento storico se non fossero mai state scattate delle foto».
Una domanda che faccio sempre quando intervisto qualcuno che lavora nel mondo dell’arte: artista preferito.
«Non vorrei mai fare del torto a nessuno ma consentimi di citarne almeno un paio.
In ordine assolutamente casuale Marina Abramovič e Marinella Senatore.
La prima è diventata parte integrante del mio percorso di studi sin da subito. È un’artista a 360 gradi, avanguardia pura sin dal suo primissimo esordio, ma dovrebbe diventare ispirazione costante nella vita di ognuno di noi per il suo approccio estremamente moderno alla vita ed il suo profondissimo rispetto della natura.
Marinella Senatore è l’artista che meglio ha rappresentato il concetto di arte ai giorni nostri.
Ha sempre portato l’arte là dove nessuno voleva portarla, prendendosi cura del pubblico dimenticato, avvicinandosi anche a chi fisicamente era impossibilitato a goderne.
Stiamo vivendo un momento storico senza precedenti e siamo impossibilitati a spostarci per visitare mostre e musei.
Eppure, Marinella ha cercato comunque di regalarci la sua arte, senza risparmiarsi mai.
Carismatica e generosa, parla alle persone, chiunque esse siano».
Parlando invece di Instagram, quanto è importante la cura del feed?
«La cura del feed deve contare, ma fino ad un certo punto.
Chiaramente è importante, ma non fondamentale, un po’ come un biglietto da visita, il quale serve solo a dar di noi una presentazione.
Personalmente non sono mai stata ossessionata dal feed, ma molto spesso mi imbatto in account del genere, che pubblicano seguendo solo un certo tipo di filtro omologato o ossessionati dall’algoritmo.
Bisogna capire che dietro anche solo un singolo follower ci sono persone reali che percepiscono tutto, e quindi anche quanto di spontaneo e senza filtri ci sia dietro».
Infine, ti chiedo: la storia che c’è dietro un’opera può farcela apprezzare di più? È importante conoscere ciò che guardiamo, oltre ovviamente alla pura curiosità?
«La storia dietro un’opera d’arte nel mio personale racconto è fondamentale. Mi capita molto spesso di ricevere commenti del genere, cioè da parte di persone che apprezzano ancora di più l’opera d’arte in questione, rispetto a quella singola curiosità appena letta o scoperta attraverso un post dedicato, che magari prima semplicemente non conoscevano.
Sicuramente conoscere quanti più dettagli possibili, ci rende culturalmente completi. Non è pura e semplice curiosità, hai detto bene, è piuttosto fame e desiderio di completezza.
Quindi sì, per rispondere alla tua domanda, in definitiva ti dico conoscere in maniera profonda ciò che stiamo guardando, io credo ci arricchisca e ci renda grati per la bellezza ereditata».
Catia Bufano
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