Carosello Carosone è il biopic “leggerissimo” di cui la TV aveva bisogno
A vent’anni dalla sua scomparsa, il biopic Rai su Renato Carosone fa incetta di ascolti con un cast di giovanissimi talenti e una regia da grande schermo.
La storia di un gigante, rivoluzionario anti-divo che ha reso la napoletanità manifesto musicale gioiosissimo, uno spartito di sonorità meticce a deliziare le platee di tutto il mondo, tra Africa orientale, Parigi, Buenos Aires e New York.
Era difficilissimo raccontare il maestro Carosone senza scadere nella caricatura di un macchiettistico artista girovago. “Pulecenella” anti-melodico e colto, fresco di diploma al conservatorio, spedito nei bugigattoli festaioli di Addis Abeba per intrattenere gli italiani al fronte prima di schizzare nelle classifiche mondiali a colpi di fortuna e vaudeville.
E invece Lucio Pellegrini riesce nella godibilissima riscrittura di un genio popolare che al pianoforte magheggiava sofisticate canzonette al sapore di Napoli e retrogusto d’Afro-America. Un tripudio di swing, jazz e boogie, ma col tocco ingegnoso del dialetto del sud a colorire le già scoppiettanti partiture. Una produzione Rai Fiction e Groenlandia (etichetta di Matteo Rovere e Sidney Sibilia) tratta dal libro di Federico Vacalebre Carosonissimo, che ha saputo riportare in vita, anzi, in musica, un genio (finalmente) non tormentato, attraverso un cast super indovinato e un impianto che mixa con intelligenza autorialità e intrattenimento nazional-popolare.
Ma il meritatissimo successo di questa perla sfornata da mamma Rai non può prescindere dalla scelta (più che azzeccata) del suo protagonista, un Eduardo Scarpetta che è il vero gioiello di questo film. Interprete già rodato nonostante la giovane età di 27 anni (l’abbiamo visto ne L’amica geniale nei panni del comunista Pasquale Peluso e in Capri-Revolution di Mario Martone, tra gli altri) che porta orgogliosamente in alto il nome della dinastia teatrale Scarpetta-De Filippo con una prova attoriale impeccabile, delicatissima, che dosa alla perfezione umiltà ed estro, ironia e leggerezza. Leggerezza “che non è superficialità”, come diceva il buon Calvino, ma una fantasia variopinta, sognatrice, eppure ancorata alla disciplina del mestiere, alla devozione genuina di questo faticatore al pianoforte partito dai quartieri e diventato re dell’“original traditional Neapolitan swing”.
E allora via con i flashback, a ripercorrere la sua fulminante parabola musicata, dalle patinate esibizioni all’Odeon di Asmara – dove incontra Lita (una credibile Ludovica Martino), ballerina swing e ragazza madre di Venezia che sposerà – fino alle spassose serate di cabaret partenopeo allo Shaker, quando il trio Carosone è già bello e confezionato, con il chitarrista Peter Van Wood (“l’olandese napoletano” interpretato da Niccolò Pasetti) e il fantasista delle percussioni, “rumorista a ore”, Gegè Di Giacomo (un fenomenale Vincenzo Nemolato che si riconferma giusto in ogni suo ruolo, dopo Martin Eden, 5 è il numero perfetto e Gomorra – La serie).
Poi è la volta di Milano nel ’53 e del clamoroso debutto in Rai (quando la TV era una prodigiosa “radio con le immagini” a 7000 lire già in voga in America), con l’irriverente versione del pezzo E la barca tornò sola, cupa narrazione dei pescatori morti in mare sbarcata a Sanremo nel ’54, dissacrata dai gargarismi e dai toni parodistici del sestetto in diretta nazionale.
“Siete ironici, provocatori. Siete il futuro”, si dice di loro. Un consenso unanime consacrato a fama planetaria dalla fortunata collaborazione col paroliere Nisa, da cui nascerannole hits intramontabili che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo ballato e canticchiato gioiosamente, come Tu vuò fà l’americano, Caravan Petrol, Torero, Pigliate ’na pastiglia e O’ sarracino. Una playlist in vetta alle classifiche statunitensi per settimane, un primato assoluto per una canzone in una lingua diversa dall’inglese, che ha viaggiato in Europa e nelle Americhe alla velocità supersonica dei tormentoni doc. Fino all’approdo leggendario nel ’58 alla Carnegie Hall di New York, dove questo “Maradona della musica”, come l’ha definito Scarpetta, si è speso nell’ultima gloriosa performance prima di uscire dalle scene nel ’60, all’apice del successo.
Un prodotto, questo, dalla manifattura raffinata, elegante, quasi cinematografica, che non si risparmia sulle scenografie, laccate e curatissime (onore al merito per le arabeggianti atmosfere e la calura africana ricreate nella geografia capitolina in piena era Covid) e che si lascia ritmare da un tappeto musicale d’eccezione: il Jazz firmato dal musicista-mito Stefano Bollani, sfegatato fan del Carosone che sceglie di “entrare” a tutti gli effetti nella storia con un simpatico cameo.
A dimostrazione che la televisione di qualità si può fare e si deve fare. Soprattutto se ad accompagnarla c’è una “musica leggerissima” come quella che faceva Renato…
Francesca Eboli
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