Giulia Tofana: una serial killer sui generis
Circa 600 mariti violenti morti tra il 1633 e il 1654.
La vendicatrice delle donne vittime di abusi.
Violenze e abusi, fisici o psicologici che siano, sono sempre esistiti, sempre stati all’ordine del giorno. Ma cosa pensereste se vi dicessi che nel XVII secolo, a Palermo, alla corte di Filippo IV di Spagna, una giovane donna mise in commercio il rimedio a tutti i mali causati dagli uomini?
Sto parlando di Giulia Tofana, cortigiana e fattucchiera che tra il 1633 e il 1654 causò la morte di circa 600 uomini grazie al suo veleno: l’acqua tofana, un liquido incolore e inodore che, in un periodo in cui il divorzio non era affatto riconosciuto, liberò molte donne da matrimoni violenti e scomodi.
Donna bellissima, analfabeta ma piena di inventiva e colma d’odio verso il genere che aveva condotto sua madre alla disperazione e, in seguito, alla morte per esecuzione con l’accusa di aver avvelenato suo marito, Giulia decise di dedicarsi alla creazione di un veleno che riuscisse, nell’arco di pochi giorni a procurare al malcapitato una morte che non destasse sospetti, lasciando addirittura roseo il colorito del morto; l’unica avvertenza era quella di somministrare il liquido poco per volta, ogni giorno, attraverso un numero preciso di gocce aggiunte al cibo o al vino. L’acqua tofana risultava dal bollimento in acqua in una pentola sigillata di anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio (e forse anche belladonna) che, una volta filtrati, diventavano un veleno ideale, un liquido trasparente, incolore e insapore. Giulia fece dell’acqua tofana una vera e propria attività, portando la sua invenzione sino a Roma e Napoli.
Spregiudicata, si servì della sua bellezza e della sua amicizia con un frate speziale per procurarsi il necessario per mettere in atto la sua invenzione. Gli affari partirono e andarono a gonfie vele tanto da permetterle, in breve tempo, di lasciare il malfamato quartiere di Palermo in cui viveva.
Purtroppo, ad un certo punto, Giulia fu costretta, per sottrarsi agli occhi dell’Inquisizione, ad accettare le avances di un altro frate, tale Girolamo, e si trasferì con lui a Roma dove lasciò il commercio dell’acqua tofana, intraprese la carriera ecclesiastica e in breve tempo imparò a scrivere e iniziò a vivere come una vera dama d’alto rango.
Tutto sembrava filare liscio fino a quando un’amica a cui Giulia era particolarmente affezionata, non si andò a lamentare con lei delle violenze subite in casa dal marito e si sa, quando un’amica ha bisogno, non si può assolutamente dire di no. Giulia allora ripescò la formula del suo veleno, si procurò il necessario e, aiutata la sua amica, noncurante dell’Inquisizione, rimise in piedi il suo commercio.
Ma si sa, è proprio quando sembra che tutto stia andando bene che casca l’asino. L’asino in questione fu la contessa di Ceri, donna che ansiosa di liberarsi del marito gli somministrò il veleno tutto in una volta provocandone la morte istantanea e suscitando i sospetti dei parenti. Le indagini condussero alla fine a Giulia Tofana che fu arrestata e torturata.
C’è chi dice che Giulia fu condannata e giustiziata in Campo de’ Fiori nel 1659 e chi sostiene invece che, grazie all’amante, fu rilasciata e che se ne persero le tracce.
Come sia finita la sua storia poco importa, Giulia Tofana è stata l’eroina di molte donne e il diavolo di molti uomini, forse se fosse vissuta nei giorni nostri sarebbe stata processata e assolta e, forse, noi saremmo state contente così: un’alleata in più, una donna vittima di violenza, e anche un mero imbecille, in meno.
Mariachiara Di Costanzo
Vedi anche: L’amica geniale: dal romanzo alla serie televisiva