L’albero insonne
È notte, ogni cosa riversa nel buio. Mi giro dall’altro lato.
Fuori dalla finestra i rami degli alberi simili a esili braccia battono contro il vetro; soggiogati dal vento sembrano quasi spezzarsi sotto la sua forza.
Ma resistono…
Le foglie, invece, ormai avvilite, si lasciano cadere al suolo come enormi lacrime.
Il vento, noncurante, soffia costante: sembra stia cantando. Di colpo tace. Al suo posto, un suono indistinto giunge da lontano. Cresce ritmicamente fino a prendere forma; finalmente si rivela: è una musica allegra, di quelle che nei pomeriggi estivi si ballano ai lidi.
Stranamente la sua melodia, tremendamente felice, la trovo piacevole.
Così spalanco la finestra: le note mi investono, abbagliata di colpo da quella musica quasi fosse un raggio infuocato di sole. Ma contemporaneamente spalanco gli occhi.
Mi ritrovo a letto, il vento non è cessato.
Era stato tutto un sogno. Ricado nell’incubo.
Ora vedo le foglie sollevarsi da terra e iniziare a stormire nel buio. Come pezzi di carta gialla, si incollano al cielo, creando un macabro pattern.
Stringo le palpebre, mi tappo le orecchie, ma continuo a vedere, continuo a sentire. Vorrei girarmi dall’altro lato, ma il mio corpo è diventato di pietra. Provo ad allontanare la mano dall’orecchio e ad aprie gli occhi. Non ci riesco.
Il mio corpo è addormentato, ma io no, sono sveglia dentro di lui. Provo ad urlare ma le mie labbra sono sigillate. Il calore delle coperte mi asfissia, ma non posso liberarmene.
Nella mia testa le foglie gialle danzano seguendo l’incalzante ritmo del mio cuore che sembra essere furioso: batte contro le pareti del mio petto così come i rami contro il vetro della finestra.
Sembra di assistere ad un tetro concerto.
Ma di colpo tutto finisce: il mio corpo è finalmente libero da quella forza ignota che lo costringeva immobile. Siedo sul bordo del letto.
Dalla finestra i rami rinsecchiti, mossi da una leggera brezza, mi salutano. Non si ode più il vento ma solo il cinguettare allegro dei passerotti: è finalmente mattina.
Mi porto una mano alla testa dolente. Sembra di provare i postumi di una sbornia. Apro la finestra e un alito fresco prende a pizzicarmi le gote e la punta del naso tingendole di porpora.
Intanto l’albero spennacchiato continua a salutarmi. Forse anche lui di notte ha paura e vorrebbe farsi scudo con delle coperte.
Forse bussa alla finestra per chiedermi cortesemente di farlo accomodare in camera.
Forse picchietta per farmi capire che non sono l’unica ad essere sola.
Forse da quando il vento ha disperso le sue foglie anche lui lo è.
Disegno e didascalia di Enza Galiano
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