Latifa e Shamsa: le figlie prigioniere dell’Emiro di Dubai
Non siamo né nel set di un film né in un incubo.
Siamo nel 2021 e in una città in cui sogniamo di fare una vacanza da sogno, Dubai. La città dei grattacieli, dove tutto sembra inarrivabile e imponente.
I protagonisti della vicenda sono l’Emiro Mohammed bin Rashid al Maktoum, miliardario di 71 anni che con la sua politica ha contribuito alla crescita economica della città, basata principalmente sul commercio del petrolio e sul turismo, e due delle sue figlie, Latifa e Shamsa.
Le due donne, oggi rispettivamente di trentacinque e trentotto anni, vengono tenute in ostaggio dal padre in una villa, isolate e controllate.
Ultimamente è stata la più piccola a chiedere pubblicamente che i riflettori si riaccendessero sulla scomparsa della sorella, avvenuta venti anni fa mentre quest’ultima frequentava l’Università di Cambridge. La sua storia fu accantonata con un non luogo a procedere, con la constatazione, cioè, che l’azione giudiziaria non doveva essere proseguita; dinamica molto probabilmente dettata da pressioni politiche e diplomatiche.
Anche Latifa è vittima dello stesso stato di cattività dal 2018, quando cercò di fuggire da quella che ormai era divenuta una prigione d’oro insieme ad una delle mogli dello sceicco, senza però riuscirvi: la barca utilizzata come mezzo di fuga fu intercettata al largo delle coste dell’India. Esse si stavano muovendo verso gli Stati Uniti dove Latifa avrebbe potuto chiedere asilo politico. La donna ha anche dichiarato di essere stata vittima di abusi fisici nel 2002, quando per la prima volta provò a fuggire.
Tali violenze sono state riconosciute dall’Alta Corte come responsabilità dello sceicco che ne era il mandante, ma tuttavia esse ad oggi rimangono impunite.
Mohammed bin Rashid al Maktoum è una personalità molto conosciuta nel mondo occidentale: ha addirittura raggiunto cinque milioni e cinquecentomila followers su Instagram!
La vicenda del sequestro delle due sorelle è ritornata ad essere discussa recentemente, quando la principessa Latifa ha pubblicato un video cercando di smuovere le coscienze ormai annebbiate dall’omertà e dall’indifferenza, dichiarando di temere per la propria vita.
Le autorità politiche hanno esibito un comportamento duplice: se da una parte il Primo Ministro inglese Boris Johnson si è mostrato preoccupato per le condizioni in cui la donna sembrava riversare nel video, dall’altra le pressioni economiche spingono i paesi legati alle monarchie arabe del Golfo a non opporsi dichiaratamente a modelli etici antitetici a quelli occidentali, sostenendo di fatto paesi in cui i diritti inalienabili di cui ci fregiamo sono alienabili.
Infatti, nonostante lo sceicco abbia costruito una città molto feconda dal punto di vista economico, essa risulta essere completamente avulsa da valori come la tolleranza, garantiti invece dai tutori del diritto internazionale.
Dubai è una roccaforte costruita attraverso lo sfruttamento e la schiavitù, in cui il castello eretto nel mezzo, invece di celebrare le proprie donne, le avvilisce e le considera alla stregua di oggetti che dal possesso del padre passano a quello del marito.
Latifa, nel video in cui congedava tutti prima del suo tentativo di fuga quattro anni fa, denuncia la propria condizione di prigionia con queste parole: “Non mi è permesso di guidare, non mi è permesso viaggiare o lasciare Dubai”.
Sebbene la condizione delle donne negli Emirati Arabi Uniti non sia come in Arabia Saudita, dove la donna ha ancora il dovere di chiedere il permesso al proprio tutore per sposarsi, e ci si stia spostando verso un’ala politicamente progressista nel fronte della lotta alle discriminazioni razziali, le discriminazioni di genere e di sesso non vengono contemplate.
Quindi, sebbene esistano paesi molto più arretrati riguardo la concezione della donna, non possiamo certo affermare che gli Emirati Arabi Uniti tutelino la donna in quanto tale, ma anzi dimostrano di aderire ad una politica che considera il genere femminile solo apparentemente, con l’unico scopo di avvicinarsi ai valori e alle lotte che l’Occidente sempre più spesso sta conducendo, manifestando spesso un’ arretratezza e un maschilismo intrinseco che come una seconda pelle sembra ancora inamovibile.
Per questo i diritti concessi alle donne negli Emirati Arabi Uniti, come quello di poter guidare, votare, lavorare e ereditare proprietà, si dimostrano assolutamente insufficienti a garantire una piena e reale libertà. Nonostante i progressi avvenuti nel 2016, quando la violenza domestica ha smesso di essere autorizzata, e nel 2019, quando le donne non hanno più avuto il dovere di obbedire ai loro mariti, la violenza fisica e psicologica su una donna non è reale se non ritenuta giuridicamente tale.
Insomma, nel paese non è sufficiente per una donna sentire di aver subito violenza perché questa venga riconosciuta unanimemente come tale ma essa deve essere sottoposta ad un vaglio esterno, che si ritiene la renda più oggettiva.
Ciò che ci auguriamo è che il video pubblicato lo scorso febbraio possa sensibilizzare i paesi partner degli Emirati Arabi Uniti alla problematica, e che li spinga a non avallare, con la propria cooperazione economica e internazionale, tali dinamiche che contraddicono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Chiara Celeste Nardoianni
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