“A una Madonna”: costruzione e distruzione della donna amata in Baudelaire
Charles Baudelaire, perno del rinnovamento poetico su cui si innesta il movimento simbolista e decadente, personalità ribelle e controcorrente, la cui poetica ha segnato buona parte della poesia novecentesca.
Gran parte delle poesie di Baudelaire confluiranno in Les Fleurs du mal, il fiore che, come sappiamo, nella lirica tradizionale rappresenta la bellezza e la purezza, diviene veicolo del male. L’autore prima di morire confesserà “In questo libro ho messo tutto il mio cuore, tutta la mia tenerezza e tutto il mio odio”.
Baudelaire è sempre stato molto amato, ma anche aspramente criticato e visto come una minaccia. Difatti, il poeta parla apertamente di temi che hanno da sempre suscitato scandalo quali il sesso, le droghe, la morte, la depressione, la perdita dell’innocenza, l’alcol, l’omosessualità.
Una delle sezioni dei Fiori del male, Spleen et Ideal, è caratterizzata dal racconto della femminilità, dalle storie d’amore del poeta ma anche di incontri fugaci e improvvisi, a volte anche con donne incontrate semplicemente per strada.
Cos’è l’amore per Baudelaire? Pura tortura. Al paragone di un’operazione chirurgica, uno agisce e l’altro subisce, vi sono sempre un carnefice e una vittima.
La donna per Baudelaire vive in un clima di artificiosità, circondata da gioielli, profumi e vestiti, i quali servono a sottrarla alla sua natura istintiva. In alcune poesie, però, vediamo che l’attrazione nei confronti della donna, dapprima molto forte e dipendente, inizia pian piano a trasformarsi in disprezzo, così come l’amore muta in odio e la lode in invettiva.
Un esempio è la violenza distruttiva a cui ricorre Baudelaire nella poesia A una Madonna.
Assistiamo nelle prime stanze ad una glorificazione della donna amata (“Voglio innalzarti, o Madonna, mia amante, un altare nascosto in fondo al mio sconforto e scavare nell’angolo più buio del mio cuore, lontano da desideri e da sguardi di scherno, una nicchia smaltata d’oro e d’azzurro in cui ti ergerai come Statua stupita”) e ad un’intensificazione del desiderio del poeta nei suoi confronti (“Per Abito avrai il mio Desiderio fremente, il mio Desiderio sinuoso che s’innalza e si abbassa, che dondola sulle cime, s’acquieta nelle valli, ti riveste d’un bacio le membra bianche e rosa”).
L’elogio della donna amata si esplica perfettamente nel v. 33 (“Tutto in me ti ama e ti ammira”), Baudelaire crea sapientemente, attraverso l’uso dei due verbi di sentimento, un ritmo binario che porta l’amore del poeta ad un livello altissimo e senza confronti.
I pensers del poeta sono come candele in questa poesia, accese soltanto per elogiare lei, un essere superiore sotto i cui talloni è posto un serpente che rende l’uomo minuscolo ai suoi piedi.
Baudelaire sacralizza la donna, ne costruisce un’immagine divinizzata, tuttavia dimostra la sua straordinaria modernità in quanto tale lode non maschera la crudeltà della donna amata.
Tale modernità deriva da due fonti, il romanticismo e il Parnaso, che il poeta riunisce in un solo stile per non soccombere né all’uno né all’altro.
Baudelaire fa proprio l’intero campo lessicale della violenza, ribellandosi alla donna bella e malvagia (“io carnefice pieno di rimorsi, forgerò ben affilati sette Coltelli e come un giocoliere insensibile, prendendo a bersaglio il più profondo del tuo amore tutti li pianterò nel tuo Cuore palpitante, nel tuo Cuore che singhiozza, nel tuo Cuore grondante!”). Assassinare in tal modo la donna amata dopo averla divinizzata appare ai nostri occhi assurdo, inaspettato.
L’amore si mescola così alla barbarie, riportando alla luce l’estetica parnassiana che, ricordiamo, si opponeva agli ideali romantici, deridendo la loro esaltazione dell’amore e la loro propensione a gemere e sospirare.
Il poeta appare come un Demiurgo, un creatore che forgia la donna quasi come si fa con una statua e si arroga il potere di distruggerla.
La poesia tratta dunque della creazione e della distruzione, trasformando l’ex voto in una sorta di sacrificio.
Catia Bufano
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