Binaural beats: questione di frequenza
C’è una storia alle spalle della musica 8D? I cosiddetti binaural beats sono solo una suggestione della nostra mente?
Nel 1839 Heinrich Wilhelm Dove, medico prussiano, scopre il fenomeno dei toni binaurali che rimane però per lungo tempo solo una semplice curiosità scientifica.
Solo nel 1937 Scientific American pubblica Auditory Beats in the Brain di Gerald Oster, articolo che conferisce fondamento scientifico a tale scoperta.
Perché un’onda acustica sia percepibile è necessario che soddisfi una condizione nota come soglia dell’udibilità. Nel caso dell’orecchio umano la soglia dell’udibilità risulta superiore a 16000 Hz e inferiore a 20000 Hz, il che significa che non siamo in grado di avvertire né i cosiddetti infrasuoni, né gli ultrasuoni. Il nostro cervello è in grado di percepire però due suoni distinti con frequenza inferiore ai 1500 Hz e con differenza inferiore ai 30 Hz come suono unico.
Nel testo originale dell’articolo, Oster parte descrivendo il fenomeno acustico provocato dalla vibrazione di due diapason, che differiscono leggermente d’intonazione, colpiti nello stesso istante. Per una maggiore precisione analitica nell’ambito della ricerca scientifica, l’operazione viene ripetuta con due oscillatori elettronici sintonizzati su frequenze diverse, combinate elettricamente e poi applicate a un altoparlante, al fine di produrre dei battimenti monofonici.
Ma, spiega Oster, un fenomeno differente si verifica quando, mediante l’utilizzo di auricolari stereofonici, due suoni vengono applicati separatamente a ciascun orecchio. In tal caso si parlerà infatti di toni binaurali, battiti che richiedono l’azione combinata di entrambe le orecchie. Difatti, la sovrapposizione delle due frequenze non deriva dalla sovrapposizione fisica delle onde sonore, bensì dalla nostra percezione.
Ma come avviene la percezione del suono da parte del nostro apparato uditivo? L’orecchio capta le onde sonore trasformando la natura meccanica di tali onde in impulso nervoso. L’orecchio esterno – costituito da padiglione auricolare e condotto acustico – si occupa di convogliare le onde acustiche verso il timpano, una membrana che vibra se colpita, trasmettendo le vibrazioni all’orecchio medio, costituito da un sistema di leve che consta di martello, incudine e staffa, quest’ultima posta su una finestra ovale che divide orecchio medio da orecchio interno. Le vibrazioni giungono poi all’orecchio interno, ripieno di endolinfa, in cui troviamo la scala vestibolare che comunica anteriormente con la chiocciola, organo deputato alla trasduzione dei segnali acustici.
Oster fu il primo ad individuare una possibile applicazione dei toni binaurali nel campo delle neuroscienze cognitive e come strumento di diagnosi. Egli stesso nel proprio articolo, riconduce la scoperta dei toni binaurali a Heinrich Wilhelm Dove il quale però, li aveva ritenuti semplicemente un caso speciale di battimenti monofonici, sostenendo che ciascun orecchio stesse ascoltando suoni destinati all’altro.
Inizialmente per eliminare tale fenomeno, non si pervenne fin da subito all’utilizzo degli auricolari stereofonici, ma si optò per il posizionamento di due diapason in stanze separate, ponendo il soggetto – che avrebbe percepito i suoni generati dai diapason per mezzo di tubi – in una terza stanza. Fu però sollevata l’obiezione che si verificasse una conduzione ossea e che la propagazione dei suoni da un orecchio all’altro avvenisse tramite il cranio.
Si giunse dunque all’utilizzo degli auricolari stereofonici che, presentando un’imbottitura ripiena di liquido, avrebbero permesso di isolare la testa del soggetto dalla sorgente sonora ed evitare dunque il fenomeno della conduzione.
I battiti binaurali producono l’illusione che i suoni si trovino da qualche parte all’interno della testa del soggetto udente.
Un esempio che ci permette di ricondurre ai giorni nostri la tecnologia dei toni binaurali è infatti la musica 8D. Fu Helmut Hass in questo caso a dare una spiegazione del fenomeno, imputandolo all’effetto di priorità o precedenza, in base al quale se due suoni indipendenti arrivano al nostro cervello con un intervallo temporale inferiore a 50 millisecondi, questi vengono intesi come uno poiché il cervello smette di percepire i suoni come provenienti da fonti diverse, interpretando l’uno come eco dell’altro.
I battiti binaurali avrebbero oltretutto delle applicazioni cliniche. Oster avrebbe difatti sperimentato, in collaborazione con dei colleghi della Mount Sinai School of Medicine, che alcuni soggetti non erano in grado di percepire tali toni, tra cui una parte di essi affetta dal morbo di Parkinson. In un paziente violinista sarebbe stato addirittura rilevato un miglioramento nella percezione dei battimenti a seguito di un esito positivo della terapia somministrata.
Monitorando per sei settimane alcune donne si è notato che la percezione dei battimenti fosse massima al momento dell’ovulazione e 15 giorni dopo, probabilmente in correlazione con la concentrazione di estrogeni nel sangue. Anche la secrezione di alcuni ormoni sarebbe, in base a studi scientifici, correlata all’ascolto di tali toni.
Denise Bossis
Vedi anche: Medicina rigenerativa: tra cellule staminali e tecniche di clonazione