Guida allo studente fuorisede
Solo chi è o è stato fuorisede può davvero capire cosa significhi esserlo.
Fuorisede vuol dire letteralmente: “persona che vive, solitamente per motivi di studio o di lavoro, lontano dalla sua abituale sede di residenza”.
Tuttavia il vero significato del termine va ben oltre e si moltiplica allacciandosi alla propria sfera personale.
Ecco qui una piccola guida, una sorta di Ned – scuola di sopravvivenza versione fuorisede.
Hai appena finito il liceo e ti appresti a diventare uno studente universitario. Sei agitato e al contempo emozionato, sei spaventato per la novità, ma non vedi l’ora di assaltarla.
Sei uscito dal liceo e ti senti maturo. Un leone pronto a conquistare la savana con un sol ruggito. Sei grande, andrai a vivere da solo, autogestione, ore piccole, festini selvaggi con nuovi amici. Potrai finalmente studiare quello che ti piace, organizzandoti a piacere e senza doverti sorbire appallanti ore di *inserisci qui le tue materie odiate*.
Beh, le aspettative sono elevate, ma sappi che corrispondono parzialmente alla realtà. Sicuramente vivere da fuorisede regala gioie ed emozioni, però ci sono anche tante difficoltà, specie nei primi momenti.
Qual è il requisito indispensabile per essere un fuorisede?
Avere una casa nella città in cui si va a studiare o a lavorare, ovvio! Fuorisede sì, ma senzatetto no! Dunque dai, impavido leone trovati una bella casetta…non sai che giungla ti aspetta!
Andrai alla ricerca di dimora con l’immagine stampata davanti agli occhi dell’accogliente e comoda casa dove sei cresciuto, ma ti consiglio di accartocciala e di buttarla nel wc.
Le case tra cui dovrai scegliere saranno una peggio dell’altra, tanto che quelle degli horror in confronto sono lussuose ville-vacanza.
Prezzi esorbitanti (neanche stessi comprando una villa ad Arcore), ascensori inesistenti (il valigione non sale le scale da solo), riscaldamenti non pervenuti (il polo nord al confronto non è così male), stanze minuscole e senza finestre, mura fatiscenti che da un momento all’altro potrebbero crollarti in testa… okay, troppo creepy, mi fermo.
Alla fine, tra tanti scarti, una casa vivibile si trova. Non una reggia certo, ma d’altronde una delle caratteristiche dei fuorisede è proprio l’adattabilità.
Secondo problema: i coinquilini. Prima di trasferirti sogni di trovare una seconda famiglia.
Se sei fortunato è proprio così. Le persone con cui inizialmente condividi un semplice appartamento, diventano poi fratelli e/o sorelle con cui trascorrerai gran parte del tuo tempo e che dovranno supportarti e sopportarti nel tuo percorso.
Segreti, risate, passioni, abitudini, cibo, vestiti e ovviamente non mancano difficoltà e litigi, ma arrivi ad un punto in cui ti senti così indissolubilmente legato a loro da non riuscire più ad immaginare una vita senza. La vostra casa acquisisce un nome proprio e si riempie di aneddoti e di usanze che sono solo vostri. Sono persino attestati sviluppi di linguaggi e neologismi ignoti ai poveri estranei all’appartamento in questione.
L’esperienza da fuorisede non è realmente vissuta se non in compagnia degli amici giusti, soprattutto in casa. Non è facile vivere tutti i giorni sotto lo stesso tetto, non si può avere una convivenza pacifica con chiunque. È questione di fortuna o di scelta.
Avete presente le varie pagine facebook tipo Il coinquilino di merda?
Ecco, mi riferisco a episodi e personaggi simili. Strani esperimenti culinari, tentativi incendiari, manie particolari… insomma, la vostra convinenza potrebbe trasformarsi di colpo in un incubo.
Non ci sono più i genitori ad occuparsi dell’approvvigionamento, delle bollette, della spazzatura, delle pulizie… devi diventare un perfetto uomo/donna di casa.
Perfetto si fa per dire. C’è chi è fissato con le pulizie, c’è chi lascia che la casa diventi una discarica…
Certo è che fare le Cindarelle non è la parte divertente dell’indipendenza.
Tuttavia, “s’adda fa”: calendarizzazione a turno delle pulizie, aiuto da casa per consigli sui prodotti migliori, straccetti alla mano e via! Strofina strofina la casetta brillerà, anche se non come quella di mammà.
E in materia di fornelli come ve la cavate? Se non sapete neanche cuocere la pasta perché eravate abituati a trovare il piatto pronto a tavola, è ora di rimboccarsi le maniche!
Alcuni si riscoprono chef e impiegano le pause studio a creare piatti, altri capiscono che è meglio correre ai ripari per sfuggire ad una probabilissima auto-intossicazione.
Just eat e altre app di asporto diventano la tua salvezza. Attendi, come l’acqua nel deserto, il famoso pacco da giù. Se poi hai scelto una città famosa per le sue prelibatezze, come Napoli, ogni passo è un assaggio.
Provi la pizza fritta, provi la pasta e patate, il babà…. Per giorni ti atteggi a gran degustatore. Sperimenti quel bar, testi quella pizzeria, quel ristorante, vieni rapito dalla spritzeria del cuore…
… e dopo un mese stai lì davanti allo specchio e col portafogli in mano a chiederti com’è che la panza è in abbondanza, mentre i soldi scarseggiano.
Già, perché un altro fattore a cui porre attenzione è quello economico.
Da soli in una nuova città, catturati dalle attrazioni che essa offre, spendere e spandere diventa un pericolo concreto e, per citare un famoso meme, dobbiamo dirci la verità: “questo rischio c’è”.
Fortunatamente, con gli anni si impara a gestire le proprie finanze e a evitare i richiami infuriati della famiglia!
Il rimedio semplice, veloce e cheap, un vero è proprio salvavita per i fuorisede, immancabile in tutte le dispense, è di gran lunga il tonno. Lo scatolame finirà per essere il vostro manicaretto.
Primo giorno in università. Tutto è così spaventosamente solenne: dagli edifici, ai professori, ai colleghi che sembrano tutti più grandi, più belli e sicuri di te. E sì, la condizione della matricola ti pesa tutta. Ti aggiri nel nuovo ambiente palesemente manifesto della tua estraneità.
Come Teseo ti perdi nel labirinto della burocrazia universitaria, di una segreteria fantasma, di esami, esami e ancora esami. Fortunatamente trovi le tue “Arianna” a tenderti il filo della via d’uscita: i compagni di università.
Anche qui è questione di fortuna e, se ce l’hai, tra un ammasso di gente che si fa viva solo per interesse, trovi quel gruppetto speciale di pochi ma buoni, con cui il rapporto va oltre il mero scambio di informazioni e si rivela una sincera amicizia.
L’università diventa allora il tuo terzo domicilio, dove passi le giornate con piacere tra corsi e aule studio. L’ansia c’è sempre, ma ormai sei entrato nel meccanismo e la affronti con uno spirito diverso.
Ciò non toglie che durante le sessioni ti imponi l’isolamento forzato e ti costringi a stare concentrato con la testa sul libro, sebbene la finestra e il muro abbiano un fascino irresistibile.
La notte prima dell’esame, che già avevi sperimentato alla maturità, si ripete un gran numero di volte tanto da aver esaurito le divinità a cui rivolgerti.
Se l’esame viene superato, la prima regola è correre a festeggiare con gli amici!
Durante gli anni trascorsi nella città ospite impari a conoscerne ogni angolo segreto, ad amarla, a sentirla sempre più tua.
Non ci illudiamo. C’è almeno una domenica uggiosa e solitaria in cui, senza la lasagna della nonna sulla tavola imbandita e la casa stracolma di parenti, ti manca il profumo di casa, ti senti solo, fuori luogo e scende la lacrimuccia. Nostalgia. Appena puoi, fai le valigie e scappi a farti una capatina alla tua home sweet home…
Ciononostante, ormai non sei neanche più un fuorisede.
C’è la città natia dove ti aspettano la famiglia e gli amici di sempre, però sai che ora c’è anche altro. Quella che doveva essere un’esperienza temporanea si è trasformata in una metà della tua vita alla quale non vuoi e non puoi rinunciare.
Sei diventato un “bisede”.
Giusy D’Elia
Disegno di Sonia Giampaolo
Vedi anche: “O la tesi o la vita!”