I bambini bilingui sono davvero confusi?
Sarà sicuramente capitato a molti di conoscere figli di una coppia che parla due lingue differenti; inutile negarlo, la prima domanda che ci viene in mente, a proposito di queste situazioni, è: “Ma il bambino quale lingua comprende?”.
Quasi sempre ci viene da pensare che il piccolo venga messo in difficoltà dall’utilizzo di due codici linguistici differenti da parte di madre e padre, ma vi dimostrerò che non è così: i bambini bilingue sono, nel pratico, molto meno confusi di quanto pensiamo.
Maurice Gramont, linguista e dialettologo francese, introduce nel 1902 il principio one language one person, secondo il quale è estremamente utile che le persone circostanti al bambino gli si rivolgano sempre nella stessa lingua, affinché non si creino interferenze tra le due lingue in apprendimento. Il bambino, in questo modo, non mescolerebbe i sistemi linguistici.
Va detto, però, che ad oggi non è stato ancora ben compreso se i bambini considerino, ovviamente durante le tappe iniziali dell’acquisizione, le due lingue come un unico sistema o come due codici distinti.
Questo dubbio ha generato due teorie, relative al cosiddetto “sistema unico o separato”: la teoria del sistema unico pensa che i bambini bilingue non separino, dal punto di vista cognitivo, i due codici linguistici, mentre la teoria del sistema separato confida nel fatto che i piccoli siano in grado di distinguerle.
Merrill Swain, linguista canadese, afferma che il bambino parta da una situazione di mixage linguistico, ma che apprenda con naturalezza i due sistemi così come il monolingue apprende la sua unica lingua materna. Sicuramente è possibile riscontrare un lieve ritardo, di massimo 4-5 mesi, nelle produzioni, che tuttavia non deve allarmare o far pensare che questi stia confuso.
L’esposizione a due lingue viene chiamata, secondo gli studiosi, bilinguismo simultaneo composto: questa definizione, risalente a Weinreich, linguistica polacco-americano, indica che i genitori non applicano il principio one language one person, e che questi possano tranquillamente passare da una lingua all’altra quando parlano col bambino, senza temere dunque ripercussioni sull’efficacia dell’acquisizione in condizioni di bilinguismo.
L’adozione del principio one language one person, così come la teoria del sistema unico e separato, tutt’ora dividono la comunità dei linguisti.
In ogni caso, va detto che i piccoli bilingui non siano confusi, ma anzi: il bilinguismo ha i suoi vantaggi dal punto di vista cognitivo, e tra i tanti esperimenti condotti al riguardo ci soffermeremo su quello di Bialystok, psicologo canadese: mise alla prova le abilità aritmetiche di alcuni bambini prescolari, sia bilingui che monolingui. Vennero costruite due torri con pezzi di Lego e pezzi Duplo di ugual numero. La torre Duplo era, per la forma dei singoli pezzi, la più alta. I bambini monolingui sostenevano che la torre Duplo avesse più appartamenti. I bilingui, invece, avevano intuito che la ragione della grandezza maggiore della torre Duplo non fosse il numero di appartamenti, ma la dimensione dei singoli pezzi. I bambini bilingui hanno, dunque, una maggiore flessibilità mentale, così come una spiccata creatività.
Si può concludere che il bilinguismo incoraggi lo sviluppo di determinate funzioni, e non solo linguistiche: ciò accade perché il bambino è continuamente vigile, proprio perché non tutti, nel suo ambiente, gli parlano nella stessa lingua.
Giovanna Alaia
Vedi anche: La dislessia: e se per la diagnosi servisse la linguistica?