Kundera: l’umorismo disdicevole di Milan
Scrittore, saggista e drammaturgo, Milan Kundera ha raggiunto il successo con il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Kundera stesso ha rivelato che la sua determinazione rivoluzionaria nel ridurre il romanzo all’essenziale, attraverso un delicato gioco di ellissi, permette al lettore di arrivare dritto al nocciolo delle cose e di scoprire la verità.
«Solo un’opera letteraria che rivela un frammento sconosciuto dell’esistenza umana ha ragione di esistere. Essere uno scrittore non significa predicare una verità, significa scoprire una verità».
Milan Kundera per il New York Times, 1984.
Ma c’è qualcosa che soggiace a questa verità rivelata, alle dissertazioni filosofiche e alle grottesche vicende politiche: un umorismo malcelato e disdicevole, tuttavia acuto.
Nel primo e più “felice” dei suoi libri, Amori ridicoli, scritto «con maggior divertimento, maggior piacere di tutti gli altri», quest’umorismo che sbeffeggia e schernisce è più evidente che nei romanzi successivi.
I racconti sono tutti datati tra il 1959 e 1968 e per questo sono ancora privi della delusione politico-culturale: nel ‘68 le truppe sovietiche invasero la Cecoslovacchia comunista a causa delle riforme del neo-presidente Dubcek.
Dubcek, fautore del cosiddetto “socialismo dal volto umano”, aveva tentato di limitare fenomeni repressivi come censura, condanne di esilio, spionaggio politico e, contemporaneamente, di risollevare l’economia stagnante.
Ma tutto sommato la Cecoslovacchia era una nazione profondamente comunista, aveva accolto il regime sovietico di buon grado: gli intellettuali iscritti al partito – tra cui Kundera – non erano certo dissidenti. I libri, i giornali e i media censurati non erano strumenti d’opposizione, ma solo i prodotti di comunisti convinti che proponevano miglioramenti nel partito e nel regime.
Tuttavia, dopo il ’68, Kundera perde il ruolo di professore all’Accademia delle Arti di Praga, i suoi libri vengono ritirati e viene seguito ovunque dalla polizia segreta sovietica.
Il senso del comico è in lui tanto radicato ed essenziale che, perfino parlando del suo esilio volontario e del silenzio imposto ai suoi libri, Kundera nota il sapore ironico della sua condizione.
«Scrivo i miei romanzi in ceco, ma dal 1970 non posso pubblicare nel mio paese e nessuno li legge in lingua originale. Il manoscritto in ceco rimane nel cassetto della mia scrivania come una specie di embrione».*
Perfino nei romanzi più maturi e introspettivi, come La lentezza (1995) o L’ignoranza (2000), le trame riflettono la vita tristemente insulsa dell’uomo contemporaneo. La tragedia è ovunque… dunque, da nessuna parte.
L’uomo di Kundera è assuefatto alla sfortuna: per questo è capace di cogliere la paradossalità della sua condizione inesorabile.
«L’umorismo di Praga è difficile da capire», ammette. I praghesi ridono quando non dovrebbero, quando è meno consono.
È un riso disdicevole: «Hašek ride nel mezzo di massacri terribili, i quali diventano tanto più insopportabili per questo […]. Quando giunsi in Francia, la cosa che mi sorprese di più fu la differenza nell’umorismo. I francesi sono spiritosi, arguti, allegri, ma prendono se stessi e il mondo seriamente. Noi cechi siamo molto più tristi… ma non prendiamo niente sul serio».*
Quindi non sorprende che Kundera sembri provare piacere nel capovolgere valori inattaccabili tipici della cultura dell’Europa Occidentale.
«La giovinezza viene evocata come un valore in sé. Quando pronunciano questa parola, i politici hanno sempre uno sciocco sorriso in faccia. Ma io, quando ero giovane, vivevo in un periodo di terrore. Ed erano i giovani che supportavano il terrore, in larga maggioranza, attraverso l’inesperienza, l’immaturità, la loro moralità tutto-o-niente, il loro senso lirico».**
Quanto è fondamentale, nei suoi romanzi, ricordare di non prendersi troppo sul serio? Lo vediamo nei personaggi dal vano idealismo de L’insostenibile leggerezza dell’essere, nella epica e patetica Tamina de Il libro del riso e dell’oblio, nell’avversione reale per chi trova nei suoi romanzi verità politico-filosofiche o, peggio, psicologiche.
«È persino peggio della censura e della polizia. Intendo il moralismo. L’oppressione crea un confine troppo netto tra bene e male, e lo scrittore si lascia facilmente alla tentazione della predicazione».**
*Kundera, M., Comedy is everywhere, 1977
**A talk with Milan Kundera, New York Times, 1984
Maria Ascolese
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