La felicità è un’idea assurda del Caligola di Albert Camus
Questa volta voglio parlarvi di una cosa che ho letto, e che sento mia come la mia pelle, la mia penna preferita e le persone che amo: il Caligola di Albert Camus.
Non è una lettura ordinaria, perché non è un libro ordinario: è infatti un copione teatrale, che non prevede un narratore onnisciente, non prevede pause, non prevede attimi di riposo ma solo le potenti, profonde, disperate voci dei suoi personaggi.
Persino di personaggi che non appaiono mai, nel testo, ma sono solo richiamati ancora ed ancora ed ancora da voci altre: come Drusilla, sorella e sospetta amante di Caligola, la cui morte precede l’inizio della storia narrata da Camus.
Caligola è il secondo di una serie di tre libri che l’autore dedica alla follia della vita e alla sua impossibilità d’essere vissuta, perché tutti noi non siamo che stranieri della vita stessa; la trilogia verrà poi conosciuta come il ciclo dell’Assurdo.
La domanda che viene continuamente posta è: sapendo tutto questo, e sapendo che dopotutto dobbiamo vivere, come possiamo sopravvivere a questa follia, a quest’assurdità?
In Caligola, in questo secondo tentativo di rispondere a questa domanda, Camus ritrova il senso della vita nell’assurdità stessa, o meglio nello sforzo terribile (folle!) di colmare la distanza tra le proprie aspirazioni e la realtà: in questo senso, Caligola rappresenta una lucidissima pazzia, il bisogno dell’impossibile (la luna, la felicità o l’immortalità, nelle sue parole), che alla fine lo porterà alla morte.
Ma quello che cerca di dimostrare il tragico imperatore romano è una realtà semplice e drammatica, insopportabile: gli uomini muoiono e non sono felici. L’assurdo non è una realizzazione che avanza carponi, in sottofondo agli eventi ma esplode in faccia al lettore come la totalità della condizione umana.
E dunque Caligola è un libro sull’assurdità dell’esistenza e la perdita di ogni possibile significato nell’universo e la lotta per emergere da quest’assurdità o morire per essa.
Ma non è solo questo.
Caligola è anche un libro di storia e di politica: tutta l’azione si svolge all’interno di una cornice di fatti realmente avvenuti, e chi legge può spingere l’occhio al di là della fessura del tempo e trovarsi di fronte alla nascita della congiura che uccise l’Imperatore. Come nei libri di storia, ma scritto meglio.
Ma non è solo questo.
Caligola è un romanzo sentimentale, che s’interroga sul significato dell’amore e sui suoi confini a volte incertissimi, ed è una profonda meditazione sulla sofferenza che sempre si accompagna all’amore e alla sua perdita. Davanti i nostri occhi, Caligola lentamente realizza una pagina dopo l’altra quanto sia facile e quanto sia inevitabile dimenticare: non solo la bellezza del tempo perduto, i baci e le risate, ma perfino il lutto inconsolabile.
Niente dura, nemmeno il dolore.
Ma non è solo questo.
Più di tutto, Caligola traccia una mappa del tesoro alla ricerca della felicità, alla ricerca di qualcosa per cui valga davvero la pena vivere e morire e accetta tutto di questa ricerca, anche le sue conseguenze illogiche, folli, assurde, fino all’estremo di qualunque ragionamento: Caligola vuole stringere la luna tra le mani.
Sa che ciò è impossibile ma manda il suo fido Elicone a cercargliela, a ritrovare il suo riflesso su uno specchio d’acqua e tirarla fuori per lui; è assurdo. Caligola sa che sta chiedendo l’assurdo. Sarebbe altrettanto assurdo mandare Elicone in cerca del significato della vita, l’universo e tutto quanto, a cercare una giustificazione per vivere la propria vita in questo modo o in quest’altro.
E allora, se non può stringere la luna tra le mani, e sa bene che non può, Caligola si costringe a rassegnarsi, e la sua rassegnazione è la condanna di tutti: la verità.
Gli farò un prezioso regalo: il regalo dell’uguaglianza. E quando tutto si sarà livellato, quando l’impossibile sarà sulla terra e la luna nelle mie mani, allora, forse, io sarò trasfigurato ed il mondo rinascerà come nuovo; e gli uomini non moriranno più e finalmente saranno felici.
Marzia Figliolia
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